Il Movimento 5 Stelle, apparso 15 anni fa con il celebre Vaffa Day di Beppe Grillo in una stracolma Piazza Maggiore, a Bologna, ha raccolto in due elezioni consecutive, nel 2013 e nel 2018, la maggioranza dei consensi. Per un soffio sul Pd di Bersani (nel territorio italiano) e a valanga contro Renzi arrivando al 32,7 per cento.

Per ritrovare una cifra analoga in elezioni politiche nazionali bisogna risalire fino al 1987 quando la Dc ottenne il 34,3 per cento. Un’altra era geologica. Alle ultime consultazioni metà di quel consenso è evaporato, tra governi contro natura ed egocentrismi incrociati, impreparazione e scissioni.

Eppure il M5s rimane un partito di una dimensione che, per fare un paragone anch’esso con il tempo che fu, il Partito socialista italiano non aveva mai raggiunto, nemmeno ai tempi del Bettino Craxi trionfante.

Oltre la protesta

Il successo del M5s è stato riportato, dalla quasi totalità degli analisti, ad una dinamica anti-politica e populista. Senz’altro tutto questo c’era, e in dosi abbondanti: il disdegno morale verso l’establishment, la convinzione che anche una cuoca potesse governare, l’esaltazione delle virtù del cittadino contro i potenti corrotti, la svilimento di tutti i partiti e i politici tradizionali.

Tuttavia, al di là dell’urlo di protesta, che attraeva consensi da ogni dove, c’erano anche delle coordinate ideali e valoriali diverse. In primo luogo il riferimento al cittadino e non alla nazione o al popolo: un riferimento liberale ben lontano dal nazional-populismo che oggi veicola Fratelli d’Italia.

In secondo luogo il richiamo alla cittadinanza universale che oltre ai diritti civili e politici prevede anche quelli sociali, di cui è ricca la nostra costituzione; non per nulla il reddito di cittadinanza è stato abrogato di fatto dal governo Meloni e sostituito con la carità della carta sociale: un obolo, il contrario di un diritto. In terzo luogo la questione ambientale, da sempre cardine del grillismo e oggi in piena coerenza con la transizione ecologica.

Il superiority complex

Questi elementi hanno acquisito piena centralità nel partito grazie anche alla fuoriuscita della componente più di destra, influente ai tempi del Conte I, ed ora costituiscono il retroterra valoriale del pentastellati: come si legge nel loro statuto, le cinque stelle rimandano ai beni comuni, l’ecologia integrale, la giustizia sociale, l’innovazione tecnologica e l’economia eco-sociale di mercato. Su queste basi sembrerebbe naturale una intesa con il Pd.

Eppure all’interno del partito democratico, e nell’opinione pubblica di sinistra, permangono diffidenze e ostilità, nonché un certo superiority complex nei confronti del potenziale alleato. Ma un partito di sinistra non può preferire i pariolini calendiani ai lazzari percettori del reddito di cittadinanza.

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