La presidente del Consiglio ha detto che i 335 uomini trucidati sarebbero stati uccisi «solo perché italiani». E il presidente del Senato ha aggiunto che i partigiani «uccisero a via Rasella solo musicisti pensionati». Questa non è solo la manifestazione della abissale ignoranza delle due persone che occupano due delle più alte cariche della Repubblica nata dalla Resistenza.

È evidente che questo linguaggio è abituale nelle formazioni neofasciste da cui provengono entrambi, la politica di professione di mezz’età e il vecchio figuro esperto di manovre parlamentari. Ma anche se fosse solo questo sarebbe non una giustificazione ma un’aggravante.

La falsificazione

La verità è che affermare che i martiri delle Ardeatine furono trucidati «solo perché italiani», e dire che il battaglione di soldati nazisti fossero «musicisti pensionati» significa mentire ignobilmente per faziosità, cancellare la verità storica per interesse di bottega. Alle Ardeatine non erano solo italiani.

Erano ebrei assassinati per razzismo, erano detenuti in quanto ufficiali e soldati combattenti della resistenza militare, partigiani incarcerati del Partito d’azione, di Bandiera rossa, del Pci, del Psiup, repubblicani, democristiani, massoni anti regime tutti assassinati in quanto resistenti, partigiani, antifascisti. Assassinati da nazisti tedeschi aiutati da fascisti italiani. Solo una decina erano i rastrellati inermi in via Rasella dopo l’attentato e poche unità i detenuti comuni aggiunti all’ultimo momento «solo perché italiani» per arrivare ai 335. E il battaglione di soldati che subì l’attentato era una formazione armata di tutto punto, senza nessun vecchio, con una media d’età di 33 anni, una formazione combattente controllata dalle Ss.

Indegnità

È una grave prova di indegnità per persone investite di così alte funzioni pubbliche la falsificazione della storia. È una vergogna insultare i martiri di una atroce strage nazista e fascista come se fossero stati tutti assassinati per caso, come detenuti comuni. Ed è stato giusto reclamare le dimissioni del presidente del Senato per la sua menzogna data la funzione di garanzia che dovrebbe avere.

Va aggiunto, però, che dentro questo abietto stravolgimento della verità c’è un dato politico, c’è il tentativo di seppellire definitivamente l’antifascismo costitutivo della identità della democrazia italiana e imporre dall’alto la versione fascista della storia. Certo, il trascorrere del tempo e il mutare delle vicende storiche fatalmente sbiadiscono le memorie del passato, comprese quelle degli eventi che segnarono un’epoca. La seconda guerra mondiale generata dai nazisti alleati dei fascisti è finita quasi ottanta anni fa. Le nuove generazioni, comprese quelle ormai più che mature, non sanno, non possono sapere che cosa sia stato quel tempo di fame, di terrore, di rovine e di morte. La parola antifascismo rappresenterebbe solo un puro essere “contro”, ed essere contro qualcosa che non c’è più.

Per arrivare a questa conclusione, però, non si può imputare solo il trascorrere del tempo. Già pochi anni dopo la fine della guerra iniziava una sistematica campagna di svalutazione della parola stessa: l’antifascismo veniva descritto come fatto occasionale e transitorio, e poi sezionato e diviso tra quello buono e quello cattivo, tra quello democratico e quello antidemocratico e infine bollato come pura maschera dei non democratici. Ci si riferiva in tal modo ai comunisti per quanto democratici fossero. Anche questa campagna faceva parte della guerra fredda finita trenta anni fa con il crollo sovietico.

Il mondo è tutt’altro da allora. Ma non è mutata la campagna contro l’antifascismo, fondata su un doppio inganno. Il primo è quello secondo cui l’antifascismo fosse solo una negazione. Certamente, esso contrastava una ideologia regressiva che faceva tornare indietro di secoli la concezione dell’umanità e degli individui, della nazione, dei rapporti sociali, dello Stato.

(…)L’antifascismo è stato l’ispiratore della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dell’Onu, delle Costituzioni democratiche più avanzate, della lotta per i diritti sociali e civili, del sogno e della speranza di una Europa unita e federata.

Il secondo inganno riguardava la inutilità dell’antifascismo dopo la liquidazione dei regimi di Hitler e di Mussolini, considerati mai più proponibili. Il che può essere vero per ciò che riguarda i loro miti e i loro riti esteriori e per la loro criminalità assoluta, la esplicita forma statale della tirannide, l’orrendo genocidio del popolo ebraico, dei rom, degli handicap- 5 editoriale pati, lo sterminio degli oppositori.

(Anche se regimi tirannici e stragisti non mancano nel mondo, pur se non recano i simboli del fascio littorio o della croce uncinata, e non mancano gruppi di cultori di quelle infamie).

Ma, soprattutto, la liquidazione di quei regimi non metteva fine per sempre a quelle idee che stavano nelle loro premesse e nel loro fondo: lo sciovinismo, il razzismo, l’odio per i principi di uguaglianza e libertà, l’antifemminismo, la volontà di dominio, il sentimento antidemocratico.

Noi non possiamo sapere cosa sarebbe stato il mondo se non si fosse rotta all’indomani della guerra l’unità internazionale antifascista, se negli Stati Uniti – usciti dal conflitto più ricchi di prima, con il territorio intatto, con un sistema produttivo impareggiabile, con l’arma atomica – fosse andata avanti la linea di Roosevelt.

(…) Tuttavia nella deriva che ha portato al governo in Italia un personale di origine neo fascista vi è anche una responsabilità di forze antifasciste. E non solo di quelle che cedettero alla idea della divisione dei partiti della Resistenza tra antifascisti buoni e cattivi fino a quando tutti quei partiti, che erano stati uniti nei Comitato di liberazione nazionale e autori della Costituzione, scomparvero per malefatte o per autodistruzione alla fine del secolo.

Pur nel mantenimento di formalità celebrative anche in forze formalmente antifasciste s’insinuò l’idea del superamento di quell’antica parola, salvo a risvegliarsi esterrefatte quando gli eredi delle idee date per morte si accomodarono a palazzo Chigi.

Banalizzare l’antifascismo

Ma ciò accadde non solo perché in Italia mancò una vera opera di chiarezza e di condanna delle colpe e delle infamie del fascismo – qualcosa di simile alla denazificazione tedesca – ma perché molta della essenza di quella parola era andata smarrita.

Fu banalizzato il fascismo dalle destre e dai moderati, fu banalizzato l’antifascismo dalla sinistra. L’unità antifascista non era stata una intesa per la restaurazione della democrazia prefascista. Al contrario, come prova la Costituzione a partire dal fondamento della democrazia italiana “sul lavoro”, quella unità era stata animata da un prevalente spirito di avversione ai padroni del vapore che avevano evocato il fascismo e con esso si erano arricchiti. Richiamarsi all’antifascismo serve a poco se non lo si aggiorna legandolo ai bisogni e alle sofferenze dei lavoratori, senza nutrire la sua battaglia per la democrazia e per i diritti, se non è stimolo all’azione per la giustizia sociale.

Paradossalmente, l’aggiornamento è una riscoperta della sua natura. Vedo con speranza che si allarga, per iniziativa della Cgil, il legame tra i sindacati dei lavoratori e il mondo di un vasto associazionismo e volontariato, laico o religioso, che si attiva per la pace, per i diritti sociali e civili, per l’ambiente, per l’accoglienza ai migranti, contro la criminalità mafiosa. L’associazione dei partigiani, l’Anpi, è su questa stessa strada. I vecchi partigiani hanno fatto la loro parte. Molti caddero sui monti, nelle città e nelle campagne. Dei sopravvissuti tanti se ne sono andati o, come me, hanno raggiunto età quasi secolari.

I vecchi partigiani, certo, si estinguono. Ma l’associazione dei partigiani è già ora per i giovani e dei giovani, una nuova resistenza nasce. L’avvenire sarà di un nuovo movimento antifascista che deve essere e sarà popolare e sociale, per la giustizia e per la libertà.

Il testo è un estratto dall’editoriale del prossimo numero della rivista Critica Marxista

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