Uno spettro si aggira nella sinistra italiana. È quello di cosa è accaduto al Partito socialista francese, che nel breve volgere di pochi anni ha visto liquefarsi il suo consenso fino a sprofondare all’1,75 per cento dei voti della sua candidata alle presidenziali del 10 aprile di quest’anno, la sindaca di Parigi Anne Hidalgo.

Soltanto dieci anni prima, nel 2012, il socialista François Hollande era stato eletto all’Eliseo al secondo turno contro il presidente uscente Nicolas Sarkozy.

Al primo turno il candidato del Psf aveva ottenuto il 28,6 per cento e la sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon, uscito dal partito nel 2008, si era attestata all’11,1 per cento.

Dilaniato dalle lotte fra correnti e penalizzato dai deludenti risultati della presidenza Hollande, nelle elezioni presidenziali del 2017 il Psf era già sprofondato con Benoît Hamon al 6,4 per cento, con una perdita di oltre 22 punti percentuali. Il suo bacino elettorale era stato eroso sia da sinistra sia dal centro.

Mélenchon, infatti, aveva dato vita nel febbraio 2016 a La France Insoumise, letteralmente “La Francia indomita”, raggiungendo al primo turno delle presidenziali del 2017 il 19,5 per cento dei voti, che sarebbero poi cresciuti cinque anni dopo al 21,9 per cento.

Il partito di Macron

Nell’aprile del 2016, un altro fuoriuscito dal Partito socialista, il ministro dell’Economia del secondo governo guidato dal socialista Manuel Valls, Emmanuel Macron, aveva fondato un suo movimento, La République En Marche. L’anno dopo divenne presidente della Repubblica francese, conquistando al primo turno il 24,01 per cento e battendo al ballottaggio la leader del Front National, Marine Le Pen.

Come non vedere alcune analogie con la crisi attuale del Pd? Anch’esso alle prese con un attacco al suo bacino elettorale su due fronti: da parte di Conte, autore di un riposizionamento “a sinistra” del Movimento 5 stelle con un forte radicamento nelle regioni meridionali, e dal duo Calenda-Renzi, a loro volta insediatisi al centro e protagonisti di ottime performance al nord, in particolare a Milano e in Lombardia, prima regione italiana.

A guardare la storia recente dei socialisti francesi verrebbe da dire che nelle recenti elezioni politiche alla lista Pd Italia democratica e progressista, con il suo 19,07 per cento, è andata ancora bene, ma il rischio, o sarebbe meglio dire l’incubo, è quello di aver iniziato a percorrere lo stesso piano inclinato del Psf.

Che fare?

Sempre dalla storia della sinistra francese può tornare utile l’esempio della nascita dello stesso Psf al congresso di Épinay, un sobborgo a nord di Parigi, nel giugno del 1971.

Un appuntamento a cui le diverse formazioni socialiste d’oltralpe arrivano in grande crisi e con un elevato tasso di litigiosità.

Nelle elezioni legislative del giugno 1968, infatti, la Federazione della sinistra democratica e socialista, di cui faceva parte la Sfio, la denominazione assunta nel lontano 1905 dal partito dei socialisti francesi, si era fermata al 16,5 per cento, mentre il Partito comunista francese (Pcf) aveva raggiunto il 20 per cento.

L’antica e gloriosa Sfio venne sciolta nel luglio 1969 e al suo posto nacque il Nouveau Parti Socialiste (Nps), che nei fatti era però la prosecuzione politica e burocratica del vecchio partito.

Nella sinistra socialista operava anche il Parti Socialiste Unifié (Psu), fondato nell’aprile 1960, con segretario Michel Rocard. Guardava a quel mondo anche François Mitterrand, candidato perdente alla presidenziali del 1965 e a sua volta leader della Convention des Institutions Républicaines (Cir).

Alle presidenziali del giugno 1969 era andato in scena il passaggio di consegne tra De Gaulle e Georges Pompidou, mentre la sinistra si era presentata, invece, divisa tra il candidato del Pcf (Jacques Duclos, 21,2 per cento), quello della Sfio (Gaston Defferre, 5 per cento) e del Psu (Rocard, 3,6 per cento).

All’appuntamento del congresso di Épinay la sinistra non comunista arrivò dunque frammentata, litigiosa e in forte crisi di consenso. Quello fu a tutti gli effetti un congresso costituente dove il Nps, segretario Alain Savary, aprì alla Convention di Mitterrand, al Psu di Ricard (che in prima battuta rifiutò l’invito) e alla galassia di circoli e associazioni d’area socialista.

Mettere in discussione

Dall’assise di Épinay nacque così il Parti Socialiste Français (Psf) e si affermò la leadership di Mitterrand, eletto primo segretario della nuova formazione, che dieci anni dopo (1981) sarebbe stato eletto presidente della Repubblica al secondo turno con il 51,7 per cento. Anche il tradizionale rapporto di forza a sinistra tra i comunisti e i socialisti si era ribaltato, tanto che nel 1981 al primo turno il candidato socialista (25,8 per cento) aveva superato ampiamente quello comunista, Georges Marchais (15,3 per cento).

La lezione di Épinay, utile per la riflessione sul come uscire dalla fase di difficoltà in cui versa il Pd, è perciò quella che un fecondo processo di rigenerazione politica e culturale passa da una messa in discussione generale dell’impianto ideologico e del modello organizzativo.

Il percorso costituente, a cui deve essere dedicato un tempo necessariamente non breve, deve poi concludersi con un profondo rinnovamento anche della classe dirigente.

In altri termini, il congresso di Épinay non è ricordato in Francia come uno dei tanti congressi degli eredi della Sfio, ma come l’atto fondativo di una nuova stagione vincente del socialismo e della sinistra, che, iniziata nel 1971, pur tra naturali alti e bassi, sarebbe durata fino al 2016.
 

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