I partiti politici non stanno bene, ma i movimenti non stanno meglio. Si sottovaluta la relazione stretta tra queste due forme di partecipazione democratica.

Anzi, i teorici della democrazia partecipativa hanno spesso considerato i partiti un blocco piuttosto che un volano.

Un blocco perché, anche quando sono (erano) di massa, i partiti tendono a restringere i termini della partecipazione, subordinandola alle loro esigenze legittime di consenso elettorale.

Insomma, agli occhi dei partiti i movimenti possono trasformarsi da fiancheggiatori ad antagonisti.

I partiti di massa li hanno avuti al loro fianco in alcune occasioni importanti:  esemplari le lotte per i diritti civili che sono state trainate dai movimenti, costringendo i partiti a scendere in campo.

Ma li hanno avuti anche come spine nel fianco in altre – come non ricordare la rivolta dei “girotondi” contro la sinistra inattiva nelle istituzioni a inizio anni Duemila, durante il berlusconismo?

Questa amicizia-inimicizia è sembrata scomparire quando i partiti, alla fine del secolo scorso, hanno cercato di diventare partiti-movimento, in alcuni casi solo movimenti con aspirazioni ad entrare in parlamento.

La vicinanza con i movimenti si è tradotta anzi in un amalgama, come col Movimento Cinque Stelle che è passato da solo-movimento dei VaffaDay di Beppe Grillo a partito-anti-partito.

Il problema è che se i movimenti prendono il posto dei partiti e i partiti si fanno movimento a guadagnarci non è la forza della partecipazione e neppure la vivacità movimentista della società civile.

In quasi tutte le democrazie contemporanee si è verificato in questo inizio di secolo un fenomeno di questo tipo: la debolezza rappresentativa dei partiti ha infiacchito i movimenti.

Le subitanee contestazioni che vediamo periodicamente emergere sono forme di sollevamento popolare che se non trovano alleanze o corrispendenza con partiti si riducono in fuochi tanto luminosi quanto fatui.

Senza partiti che facciano il loro lavoro di rappresentanza-organizzazione politica i movimenti soffrono, perché il loro scuotere l’opinione, incalzare lo status quo, non ha presa.

E chi governa sa di poter contare su questa debolezza: si parla ossessivamente per qualche giorno di movimenti di contestazione, poi si passa ad altro. Il presentismo è nemico dei partiti quanto le è dei movimenti.

E’ sperabile che con la nuova segretaria Elly Schlein il Partito democratico non coltivi l’ambizione di farsi movimento, ma si convinca del bisogno che c’è di un “partito leader” ovvero capace di attrarre i movimenti dando loro nuovo ossigeno, di stringere con loro un patto di collaborazione.

Ciascuno svolgerà il proprio ruolo – affinchè la funzione participativa, di contestazione e di petizione che qualifica i movimenti non sia futile, è necessario che ci sia un partito che venga riconosciuto come leader di quelle istanze.

Non dunque partito-movimento, né un partito della leader, ma partito leader.

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