Più si avvicina il giorno in cui il parlamento inizierà le operazioni per l’elezione del presidente della Repubblica, il 24 gennaio, più si avverte stato di decomposizione dei partiti parlamentari. Alfiero Grandi ha su questo giornale indicato i segni vistosi di questo maltrattamento della democrazia parlamentare: a partire da quell’obbrobrio che fu il referendum per il taglio del numero dei parlamentari, fino (all’ancora) mancata riforma elettorale e all’indecoroso lassismo nel produrre la riforma dei regolamenti parlamentari, cruciale in un parlamento dimezzato.

Insomma, il personale politico dei partiti é qualitativamente scarso e senza volontà.

Quando si lamenta il combinato di declino dei partiti organizzati nella società e declino dell’istituto parlamentare ci si dimentica tuttavia di puntare i riflettori sulla ferita maggiore: la lontananza degli eletti dai cittadini (non tutti, certamente, ma numericamente tanti).

Che rapporto c’è tra i cittadini-elettori e i loro rappresentanti? I padri fondatori del sistema rappresentativo, virtuosi liberali protodemocratici ottocenteschi come J.S. Mill, sostenevano che la rappresentanza è una forma di partecipazione che tiene insieme due fattori: la somiglianza (di idee o condizioni o interessi) e il patrocinio o l’advocacy. 

Il rappresentante non deve essere un identico (gli interessi dei folli non sono meglio rappresentati dai folli) ma deve “sentire” una similitudine di interesse o idee; ciò lo stimola a tenersi sempre aggiornato sui problemi della società e ad appendere l’arte dell’avvocatura politica, ovvero l’essere di parte ma non ciecamente, capace di tenere una certa distanza dalla propria causa per meglio servirla e – soprattutto – per servirla all’interno della cornice dell’interesse generale, non contro di esso.

Per tenere in equilibrio la parte e il tutto i partiti hanno messo in campo un sistema di radicamento nella società. Gli eletti non stavano troppo separati dagli elettori e periodicamente tornavano tra chi li aveva mandati. I partiti nazionali avevano radici locali forti e relazioni costanti con gli elettori. Questa funzione è oggi in disuso. 

I cittadini-elettori eleggono qualcuno che alcuni (detti “il partito”) candidano secondo schemi a loro (i cittadini-elettori) oscuri. Una volta eletti, i rappresentanti diventano irraggiungibili come i sogni ad occhi aperti.

In effetti, l’elezione non seleziona rappresentanti ma crea un ceto di persone che pensa prima di tutto a se stesso – anche per questo le differenze tra i partiti parlamentari sono poca cosa. Interrotti i rapporti con gli elettori, anche la conoscenza di quel che vive nella società si perde. 

Questo scivolamento dai rappresentanti ai miracolati del voto (perfino il termine "oligarchi” sembra un lusso) è visibile anche nel caso dell’elezione del presidente, un momento che dovrebbe esaltare la prudenza, la capacità identificativa e operativa dei partiti, il rispetto costituzionale per questa istituzione repubblicana e che, invece, rivela tutta la loro miseria e lontananza.  

© Riproduzione riservata