Marco Esposito su questo giornale e qualche altro commentatore hanno criticato due recenti studi di Giampaolo Galli e Giulio Gottardo pubblicati dall’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani. Si è detto che tali studi sostenevano che il Sud “riceve troppi soldi”.

In realtà, quei lavori non sostenevano questo. Come cittadini e come economisti, riteniamo che al Mezzogiorno debbano oggi andare anzi maggiori risorse Europee e nazionali rispetto a quelle che sono andate in passato.

Le nostre osservazioni riguardano due punti. Il primo è che la qualità delle istituzioni di un territorio è non meno importante della quantità di risorse che a quel territorio affluiscono.

Dagli anni cinquanta agli ottanta il rapporto fra gli investimenti complessivi, pubblici e privati, e il Pil è stato molto maggiore, spesso doppio, al Sud che nel resto del paese, ma i divari di reddito pro capite non si sono ridotti se non per un breve periodo perché solo in poche zone si è attivato un meccanismo di sviluppo autopropulsivo, ossia capace di reggersi sulle proprie gambe. 

Come ha argomentato la Svimez,  «con un valore prossimo a 1 su una scala da 0 a 1, … la qualità delle istituzioni più alta in Italia è stata registrata in Toscana ... In coda alla classifica invece tutte le regioni del Sud … con valori medi compresi tra 0,4 e 0». Conclusione, sempre secondo lo Svimez: «Per ridurre il divario Nord/Sud servono interventi di riforma della pubblica amministrazione più forti per il Sud, per colmare i divari nei diritti di cittadinanza». Concordiamo.

La seconda osservazione ha riguardato quello che alcuni hanno chiamato lo “scippo da 60 miliardi” che sarebbe operato ogni anno dal Nord ai danni del Sud. Questa affermazione non aiuta la causa del Mezzogiorno perché sollecita negli interlocutori del Nord una risposta ovvia: il Nord ha un reddito più elevato e, quindi, contribuisce in misura molto maggiore al finanziamento della spesa pubblica del paese, compresa quella del Sud.

In realtà non è un contributo del Nord in quanto tale: è un contributo di chi ha un reddito più elevato rispetto a chi ha un reddito più basso. Ma resta il fatto che i residenti al Nord sanno bene di pagare più tasse di quelle che sarebbero necessarie per finanziare la spesa nelle loro regioni. I sostenitori dello “scippo” non guardano a questo maggior contributo alla spesa pubblica, ma argomentano che la Costituzione richiede che la spesa pubblica pro capite sia assolutamente uguale in tutto il Paese, mentre, secondo loro, al Sud è più bassa.

Noi facciamo tre semplici considerazioni. La prima è che l’analisi dei sostenitori dello scippo è basata sui dati che dell’Agenzia per la Coesione che, quando vengono aggregati a livello nazionale, sono sideralmente lontani dai dati Istat (e Eurostat) sui conti pubblici italiani; per esempio, nel suo articolo Esposito afferma che la pressione fiscale è al 47,8 per cento nel Mezzogiorno e al 46,7 per cento nel Centro-Nord, mentre per l’Istat la pressione fiscale in Italia è al 42,4 per cento: una differenza di quasi 5 punti di Pil (90 miliardi!) su cui siamo in attesa di chiarimenti da parte dell’Agenzia per la Coesione.

Inoltre ci sono voci del bilancio pubblico sulla cui allocazione fra territori il governo non ha alcuna possibilità di influire e che comunque non rappresentano scelte allocative, ma obblighi di legge. Fra questi, vi sono alcune voci, quali gli interessi sul debito pubblico e le pensioni, su cui concorda anche Esposito. A nostro avviso vanno escluse anche le spese delle imprese, come Eni, Enel, Poste e Leonardo, che sono partecipate, direttamente o indirettamente, dallo Stato, ma non fanno parte della pubblica amministrazione, proprio perché hanno il mandato di operare secondo criteri di mercato e comunque debbono soddisfare la domanda dove essa si manifesta. Già facendo queste correzioni, si ottiene che la spesa pubblica pro capite è un po’ più alta al Sud.

Infine, noi riteniamo che sia giusto tenere conto delle “parità di potere d’acquisto”. Mediamente, il divario di costo della vita fra Mezzogiorno e Centro-Nord è del 25 per cento, il che significa, per esempio, che, in termini di potere d’acquisto, i dipendenti pubblici sono pagati di più nel Sud.

Anche per questo motivo nel Mezzogiorno si verifica quello che normalmente verrebbe considerato un paradosso: da vari anni, i consumi, privati e collettivi, sono più alti del Pil dell’area.

Vero è, come argomenta Esposito, che a fronte di quel più basso potere d’acquisto vi sono servizi pubblici più scarsi, ma qui torniamo al tema della qualità delle istituzioni. 

Dovremmo superare queste sterili accuse tra Nord e Sud che sono sempre arrivate da entrambe le parti del paese. Chiudere il divario di reddito tra Nord e Sud è una responsabilità collettiva. Le polemiche non aiutano.

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