Non passa giorno che il presidente della Repubblica, supremo garante delle istituzioni, non intervenga sui rischi che corre la vita democratica. Il parlamento è debole, da anni soffre una crisi che ha visto morire il bicameralismo, deperire la funzione di controllo, ridursi a un’arena di qualche scontro personale. L’ultimo spettacolino è stato il voto sulla patrimoniale: non si capisce bene se si è trattato di uno sberleffo, di un gioco, di un trucco; o dell’incapacità di una maggioranza impreparata, incapace di valutare tempestivamente gli atti della Camera. Il governo in parlamento ha riconosciuto che vi è un’esigenza di perequazione della distribuzione della ricchezza; pochi minuti dopo la presidente ha dichiarato non attuabile l’atto che il governo si era impegnato a eseguire.

Questa debolezza porta un altro malanno, che potrebbe essere anche fatale: Giorgia Meloni ha brutalmente aperto la questione della strage di Bologna. Sergio Mattarella, ricordando le responsabilità dell’eversione di matrice fascista, ha rivendicato il ruolo delle forze dalle quali è nata la Repubblica, fra il 1943 e il 1948. In quel quinquennio è avvenuta la fine del primo fascismo, del secondo fascismo di Salò, la caduta della monarchia, la nascita della Repubblica. La costruzione dell’Italia repubblicana si basa su due pilastri: la formazione di una moderna coscienza di classe delle masse e di una coscienza civica democratica repubblicana nel paese, che viene tirato fuori dalle secche dello stato agropastorale, corporativo e fascista, e diventa stato democratico. Da qui nasce la straordinaria stagione che ha trasformata l’Italia in uno dei primi cinque paesi del mondo.

Sulla strage Meloni ha aperto alla revisione storica: non fu il tentativo di rompere questo ciclo virtuoso della società italiana, ma il tentativo di manipolazione della storia da parte delle forze democratiche. Al fascismo e alle organizzazioni che si richiamavano alla tradizione del fascismo non ci sarebbero dunque da imputare responsabilità eversive. A destra c’era al più qualche camerata che sbagliava, ma le forze della tradizione del fascismo avrebbero partecipato alla costruzione della Repubblica. Un ignominioso falso storico che non tiene conto che all’eversione fascista, ai tentativi di golpe, parteciparono pezzi della destra italiana.

Tutto però sarebbe assorbibile se non notassi un fatto: nel primo cinquantennio repubblicano l’informazione e il giornalismo democratico furono fondamentali per costruire i due grandi pilastri, coscienza di classe e coscienza democratica. L’Italia ebbe un giornalismo politico di straordinario livello culturale.

Oggi invece un tarlo ha attaccato anche i mobili sacri, alcune figure importanti del giornalismo italiano: la rassegnazione, la convinzione che lo scivolamento è ineluttabile, che quindi Meloni rappresenta il meno peggio di una situazione che può degenerare. Un errore grave: perché diffonde uno spirito di rassegnazione che può diventare rinuncia e addirittura capitolazione.

Invece ci sono nuove generazioni di giornalisti che con entusiasmo abbracciano la rinascita della coscienza civica del paese. Spetta a loro denunciare il cedimento che attacca la parte della società che rinuncia al riconoscimento della essenzialità della lotta democratica. Ecco perché l’attacco al giornalismo libero sarà sempre più forte da parte della destra. Per Meloni l’attività giornalistica deve ridursi a semplice denunce di fatti marginali. Invece andare controcorrente e in profondità fa gli atleti, restare in superficie e lasciarsi trascinare dalle onde rende l’uomo simile a un sughero.

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