Se qualcuno aveva ancora qualche dubbio sul senso del 25 aprile, a quasi ottant’anni dall’insurrezione contro il nazifascismo, è bastato un presidente del Senato con in casa il busto del Duce per fugare ogni perplessità.

L’attuale seconda carica dello Stato assomiglia sempre più a una macchietta, messa lì come pericolosa arma di distrazione di massa con il mandato di continuare a esternare tesi pericolose che, in quanto tali, non vanno sottovalutate.

Le torsioni autoritarie dell’intera maggioranza di governo infatti ci sono e continuano a fare danni al nostro senso civico, picconando una democrazia già labile. Detto questo, credo che l’attualizzazione del senso della Festa della liberazione rimanga una necessità, soprattutto per le giovani generazioni.

Il fascismo che torna

Il rischio che corriamo, altrimenti, è di veder perdere di senso una giornata che ancora oggi ha bisogno di essere affermata per la sua primaria valenza antifascista.

Primo Levi, non casualmente, ricordava spesso che il fascismo non è stato sconfitto definitivamente dopo il 1945, soprattutto sul piano culturale. Al contrario, in forme diverse, ha continuato a esistere subdolamente, cercando sistematicamente il potere per ridiventare quello che era stato in quel tragico ventennio: «La consacrazione del privilegio della disuguaglianza». Come sta nuovamente accadendo oggi.

Crisi e disuguaglianze

Sappiamo come le disuguaglianze abbiamo aggredito il nostro tempo nel silenzio più totale. Più la crisi avanza e più chi ha meno ha sempre meno e, per contro, chi ha di più ha sempre di più.

Un processo lungo che ha stratificato una rassegnazione diffusa, non solo nelle giovani generazioni, e che ha spianato la strada all’arrivo di una destra ritrovatasi sotto parole d’ordine figlie di quel tempo.

L’idea della “sostituzione etnica” fa venire i brividi solo a leggerla. E in questo contesto di crisi culturale, sociale ed economica avanza un’altra crisi ancora più pericolosa per il nostro futuro: la crisi del nostro vivere insieme, la crisi della democrazia.

Salire sulla montagna

Qui torna il parallelismo con la Lotta di liberazione, quando penso alla scelta di salire in montagna di quei ragazzi appena diciottenni. Una scelta coraggiosa perché avventata. Nessuno di loro infatti, a differenza dei coetanei inglesi o francesi, aveva da difendere una democrazia, uno stato di diritto o almeno una Costituzione democratica.

Quei ragazzi avevano conosciuto fino ad allora un regime totalitario, disumano, razzista. Nulla di nulla che avesse a che fare con la democrazia. Paura, violenza e prevaricazioni quotidiane per chi la pensava diversamente.

Un tumore della nostra democrazia, sempre per dirla alla Primo Levi, che in Italia si era manifestato ben prima del nazismo e che aveva investito quelle generazioni che poi decisero di passare alle armi e alla montagna. Una grande forma di ribellione per la libertà, per costruire un nuovo paese, una nuova democrazia, un futuro dignitoso e di pace.

Una nuova ricostruzione

Con le dovute differenze di contesto e di tempo, credo che anche oggi la nostra democrazia sia in crisi, a causa di disuguaglianze ed esclusione e di una perdita di credibilità di molte istituzioni democratiche.

Sono in crisi i più elementari pilastri della convivenza civile, tanto da continuare ad alimentare una guerra tra poveri, tra chi arriva e chi parte, tra giovani e anziani, e comunque contro il pianeta che ci ospita. Siamo a rischio distruzione totale e se non fosse stato per le giovani generazioni questo tema non sarebbe ancora tra le priorità dei nostri giorni.

Tutto ciò nel pieno di un delirio bellico diffuso, “una guerra a pezzetti” come l’ha definita papa Francesco, che semina morte, distruzione e deportazioni forzate per milioni di essere umani.

Ricostruire un paese non è un’impresa da poco, ma occorre farlo riscoprendo quel desiderio di libertà e di futuro che ci appartiene. Una ribellione democratica non più rimandabile o delegabile ad altri. Un altro mondo è davvero possibile. Lo pensarono quei ragazzi all’indomani del settembre 1943, lo dobbiamo ripensare tutte e tutti noi. Buona giornata della liberazione e di libertà.

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