Dal riscatto del sud dipendono le sorti dell’Italia. E il riscatto del sud è possibile solo con una classe dirigente agli antipodi del trasformismo e del malaffare. È la precondizione. A dirla tutta, il problema riguarda soprattutto il centrodestra, storicamente connesso alle aree più torbide della società meridionale, ai ceti più estrattivi e alla politica, clientelare e opportunistica, quando non malavitosa, che ne consegue. Ma sappiamo che riguarda anche il centrosinistra e il Partito democratico.

Qui però si trovano anche esempi positivi, importanti, con buone conseguenze per la vita dei meridionali. Difatti proprio nel Pdsi confrontano oggi due visioni opposte su quella che dovrebbe essere la politica nel Mezzogiorno, entrambe profondamente radicate nella storia d’Italia.

Tradizioni

Una è quella clientelare e trasformista, che risale all’epoca post-unitaria, viene cavalcata anche da Giolitti, e poi si incardina nella Democrazia Cristiana, con figure come Remo Gaspari, nella versione meno grave, protagonista di un clientelismo capillare e inclusivo, molto dispendioso, che ha finito per alimentare la mentalità assistenziale; nell’accezione peggiore abbiamo invece un sistema di potere aggrovigliato alle mafie e che infatti negli anni Settanta e Ottanta ha devastato le grandi regioni meridionali (ma quel sistema è poi transitato in larga parte nel centrodestra).

L’altra è quella del cambiamento sociale e dell’innovazione, una storia di lotta e di riscatto dei cittadini meridionali che origina nel Risorgimento (ma si tende a dimenticarlo), passa per Salvemini, Dorso, Gramsci, attraversa tutto il Novecento, dal sindacalismo di Giuseppe Di Vittorio alla sinistra di Emanuele Macaluso, ma anche all’impegno per l’industrializzazione del Sud profuso dalla Svimez, il quale soprattutto negli anni Sessanta diede buoni frutti e fu guidato dalle parti più innovative delle forze di governo (democristiani di sinistra, socialisti, repubblicani).

Tendenze opposte

In continuità con questa seconda visione, il centrosinistra e il Pd hanno realizzato gran parte di quel che di buono, in questi decenni, abbiamo visto nel Mezzogiorno: si pensi alla modernizzazione impressa in Puglia da Nichi Vendola, o a Bari dallo stesso Antonio Decaro, o si pensi ancora prima alla stagione dei sindaci, impersonata al meglio dalla Napoli di Bassolino.

Di recente vi sono stati protagonisti anche a livello nazionale, con ministri come Provenzano (che non a caso viene dalla Svimez e aveva un legame molto forte con Macaluso), Speranza, Amendola.

Ma il Pd e il centrosinistra hanno rappresentato anche la visione opposta, incardinata nei sistemi di potere guidati da Emiliano e De Luca, in cui il clientelismo e il trasformismo, e a volte il vero e proprio malaffare, si combinano oggi con tratti cesaristi, populisti.

Il tentativo di Schlein

Ridurre tutto il Pd a clientelismo e trasformismo è però profondamente ingiusto. Di più: è sbagliato e controproducente (a meno che l’unico obiettivo non sia lucrare qualche consenso di breve periodo, nuocendo però agli interessi dei meridionali).

Ed è ingiusto e sbagliato soprattutto nei confronti di Elly Schlein e della sua segreteria: Schlein si è imposta proprio contro i «cacicchi» meridionali del suo partito, e viene da loro osteggiata con durezza; e Schlein sta cercando di rinnovare il Pd innanzitutto nel Mezzogiorno, a cominciare dalle scelte per le amministrative in Sardegna e in Abruzzo (e sì, anche in Basilicata, con eloquenti difficoltà), o per lo stesso comune di Bari.

Questo è un impegno che tutti coloro che hanno a cuore il riscatto del Mezzogiorno dovrebbero sostenere o, se non ne condividono alcuni punti, dovrebbero almeno trattare con rispetto: perché in genere fatto da persone oneste e competenti, che spesso lottano, da tutta la vita, contro la politica peggiore e in condizioni improbe.

Se le altre forze che si dichiarano progressiste, a cominciare dai Cinque stelle di Conte, non capiscono che questo impegno va aiutato, e non azzoppato, allora davvero c’è poca speranza per il Mezzogiorno (e per l’Italia).

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