La visita in Israele del presidente del Senato Ignazio La Russa ricordata sul sito di Domani da Carlo Passarello di Geopolitica.info assume, certamente, i significati ricordati puntualmente dall’autore dell’articolo. È, anzitutto, l’occasione di smarcarsi dalle ombre che aleggiano sul suo passato, ultimamente rafforzate dalle immagini di statuette del Duce orgogliosamente esibite in casa propria insieme alle immagini del padre in divisa fascista (e non scordiamo il braccio alzato del fratello al funerale di un vecchio «camerata»).

In secondo luogo, riporta alla memoria l’immagine di Gianfranco Fini con la kippah in testa davanti alla fiamma perenne dello Yad Vashem, il Museo dell’olocausto di Gerusalemme, dove si recherà lo stesso presidente del Senato durante la sua visita.

Un contesto diverso

Il contesto, però, è molto diverso da quel 2003 in cui l’ex delfino del redattore del Manifesto della razza Almirante definì, più o meno, il fascismo come male assoluto. Nel 2003 al governo c’era Ariel Sharon (non Netanyahu, come scritto nell’articolo da cui siamo partiti), salito al governo sulla spinta della scia emotiva provocata dalla seconda intifada che provocò circa mille morti in meno di un anno per attentati terroristici, si stava gettando alle spalle l’immagine del falco di Sabra e Shatila per vestire i panni del federatole moderato.

A dirla tutta, Israele, agli occhi occidentali, pareva, per la prima volta dopo il 1967, un bastione liberale contro quella che veniva rappresentata come orda musulmana dopo il crollo delle torri gemelle e l’attentato al Pentagono. Ruolo che i politici israeliani non hanno mancato di ritagliarsi dal giorno dopo l’11 settembre, con una certa quota di ragione tra l'altro.

Giancarlo Fini, ai tempi ministro degli Esteri, visita il museo sull'olocausto a Gerusalemme. La foto è del 2005 (AP Photo/Baz Ratner, FILE)

Un modello di destra

È proprio in questo frangente che comincia la strumentale e pelosa manovra di avvicinamento della destra europea allo stato ebraico. Oggi, come ricordato da Passerello, Netanyahu sta affrontando la più grande ondata di proteste nella storia del paese, a cui vuole imporre una svolta autoritaria seguendo il manuale scritto da Viktor Orbán quando ha iniziato a consolidare il suo potere in Ungheria.

Essendo, però, il mondo ormai abituato all’idea dell’uomo forte al comando, Bibi è andato direttamente verso il pesce grosso, con una riforma già in rampa di lancio che subordinerebbe la Corte suprema all’esecutivo.

Trovando in questo suo cammino convergenze con la peggiore destra religiosa, razzista, suprematista, i cui modi abbiamo visto all’opera nell’orrendo (ancor più per una memoria ebraica) pogrom di Huwara.

L’internazionale nazionalista

Tutto questo per dire che le intenzioni di La Russa sono sicuramente buone e per questo va ringraziato. Soprattutto perché Gerusalemme è stata scelta come alternativa a Kiev, col carico simbolico che oggi si porta dietro la capitale ucraina.

Segno di urgenza; segno di volersi smarcare, lui che rappresenta la seconda carica dello stato repubblicano, dall’ombra del suo passato. Il problema, però, è che ai tempi di Fini la foto opportunity con Sharon aveva un sapore, oggi ne ha uno totalmente diverso.

Perché a fianco a quella, sul muro dove sarà appesa, ci saranno quelle con Orbán e Morawiecki, con cui il governo israeliano sta stringendo rapporti per consolidare questo ossimoro che si chiama internazionale-nazionalista.

Non proprio il tragitto che mi pare voglia intraprendere Giorgia Meloni. Insomma, le buone intenzioni si accettano sempre, ma è anche vero che la strada per l’inferno ne è lastricata.

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