Il parlamento europeo ha appena approvato la nuova versione del Patto di stabilità e crescita (Psc); il precedente era sospeso per pandemia. L'Italia è l'unico paese in cui nessun partito l'ha approvato; guidati da ragioni di politica domestica, essi si sono astenuti o l'han proprio bocciato, come i 5 Stelle. Non sarà l'ultima pessima figura ma è soprattutto un'occasione persa, per ragioni di metodo e di merito; nuoce al futuro dell'Europa e alla nostra credibilità.

Quanto al metodo, votare considerando solo l'interesse dell'Italia, reale o supposto, va contro la visione di quel parlamento come volto all'interesse di tutta la Ue, che dovrebbe operare in un dialogo a tre – il “trilogo” - con la Commissione e col Consiglio europeo. È questo ormai il dominus del sistema, qui siedono i capi di governo; ovviamente influenzato dall'interesse dei singoli Paesi, esso dovrebbe contemperarlo con quello di tutta la Ue. Anche a ciò serve un parlamento forte, che faccia da contraltare a un Consiglio sempre più potente in teoria, ma capace solo di frenare, schiavo com'è del diritto di veto di ogni Paese.

Il voto dei nostri parlamentari europei ha dunque tradito la missione spinelliana del parlamento di Strasburgo, motore che tira verso “l'unione sempre più stretta”. Ora quel motore anche per colpa nostra perde colpi; ci allineiamo spontaneamente al nazionalismo del nostro attuale governo. Si allontana la speranza di un parlamento davvero europeo, eletto con liste transnazionali.

Se passiamo ai temi di merito è solo peggio. Il nuovo Psc conferma i limiti di massima per il deficit al 3 per cento del Pil e soprattutto al 60 per cento del rapporto debito/Pil. Ha tanti difetti ma è sempre meglio del vecchio, cui torneremmo senza accordo sul nuovo Psc; concede fino a sette anni per rientrare dal debito eccessivo. Se non passava il nuovo Psc per noi sarebbe stato ben peggio. Lo rifiutiamo solo perché sappiamo che altri lo fan passare. Il nostro è il voto di chi non vuole responsabilità e resta fra gli spettatori; la trattativa finale sul nuovo Psc l'han fatta Parigi e Berlino, con Roma consultata a cose fatte, per formalità. Se anche i parlamentari si acconciano a quel meschino ruolo, inutile lamentarsi.

Abbiamo il peggior rapporto debito pubblico/Pil - oggi al 137 per cento - dopo la Grecia ma abbiamo un peso ben diverso nella Ue, che fondammo con Francia, Germania Ovest e Benelux. Nonostante le previsioni del governo, il peso del nostro debito salirà anche per l'onda lunga dello sciagurato 110 per cento, da tutti sostenuto. Dietro il rifiuto del nuovo Meccanismo Europeo di Stabilità c'è invece solo il governo Meloni, alle cui scelte errate i 5 Stelle spesso prestano un superfluo, convinto sostegno. E stiamo per entrare in procedura per debito eccessivo in base alle nuove regole.

È vero, l'obiettivo del rapporto debito/Pil al 60 per cento, tuttora scritto nel Psc, è solo un numero astratto; perfino il ministro tedesco delle Finanze, Christian Lindner, dice che nella sua vita non lo vedrà mai, e non ha 80 anni. Non possiamo però sempre rinviare la riduzione del debito; altri l'han fatto e bene, forse il nostro Dna lo impedisce?

Un governo esperto, saggio, certo di arrivare al 2027 varerebbe misure urgenti per risanare i conti e insieme rilanciare la crescita. Privo di tutte e tre tali caratteristiche esso vive alla giornata, garrulo, per cavarsela con mezzucci; non disturba i suoi amati evasori, occupa la Rai come nessuno prima, per non spaventare chi voterà a Giugno presenta previsioni di bilancio senza senso, per confermare i vecchi bonus e gettarne di nuovi al popolo che ne è avvelenato, gioca col Ponte di Messina o col condono.

E la Ue, la sola a poterli sostenere, non accetterà mai di caricarsi dei grandi investimenti per la doppia transizione, la difesa, la ricerca. Questo compatto voto introverso, solo domestico, fa torto agli italiani, che così paiono tanti “Lazzari” imprevidenti, disinteressati al comune futuro europeo.

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