La storia politica del presente è come la sceneggiatura di un film di cui si intuisce la fine. La sceneggiatura della presente legislatura per come è stata fin qui scritta lascia intravedere una fine che può essere spiacevole: la crescita delle destre, quelle dure e pure, sovraniste e nostalgiche del vecchio Donald Trump, un brand che può vendere bene in un tempo tormentato come questo. 

Si tratta di una scrittura disarmante e deludente perché i suoi compositori hanno fatto di tutto e di più per dirigerla verso questo epilogo, proprio mentre dicevano di voler fare tutt’altro.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono forse stati i soli ad avere avuto buone e giustificate ragioni per brindare alla notizia del ritiro della pattuglia di Italia Viva dalla maggioranza.  E non si stracciano le vesti se il Conte-bis sopravvive. Non hanno fretta. Lasciano rosolare il nemico sui carboni ardenti della gestione comunque difficile della pandemia e si preparano al dopo. 

E’ probabile che il Conte-bis troverà una maggioranza parlamentare. Per molti cittadini che non hanno capito la ragione di questa crisi e assistito attoniti a un gioco al massacro mediatico, questa notizia è un sollievo. Lo è perché a ben guardare solo un paese disgraziato, sprovveduto e sciocco può permettersi “il lusso” (così ha scritto Le Monde) di buttarsi a capo fitto in una crisi di governo mentre si deve discutere del piano di rilancio e mentre siamo ancora in piena pandemia.

Certo che nessuno vieta che si voti in questo stato d’emergenza sanitaria – lo hanno fatto gli Stati Uniti e lo farà l’Olanda in marzo. Ma in questi casi si tratta di un atto dovuto, se così si può dire.

Nel caso italiano si tratterebbe di finire in anticipo la legislatura, di scegliere di fare una campagna in tempi di parziale libertà di movimento e con la conta quotidiana dei decessi. Una scelta irresponsabile, quasi cinica; appunto “un lusso”.

Il governo troverà probabilmente un salvagente.  E però questo serve per non affondare, non per navigare. E’ una soluzione necessaria ma non è la soluzione del problema che tormenta questo governo, comunque a rischio di naufragio. 

E’ questo frangente di emergenza nell’emergenza che rivela il carattere dei protagonisti del film in proiezione e la possibilità o meno che essi siano in grado di cambiare quel paventato epilogo.    

Oltre il fattore Renzi

I problemi non sono tutti ascrivibili a Matteo Renzi, alla sua caratteriale incapacità a fare gioco di squadra quando non è lui a guidare. 

Il fattore Renzi esiste indubbimente, ma è esaltato da un altro non meno ingombrante fattore che si manifesta proprio quando si consideri la sorprendente attrazione di cui Renzi gode presso molti nel mondo dell’opinione, forse desiderosi di qualcuno chi sappia offrire una barca piuttosto che un salvagente.

Il Pd non gode della stessa attrazione. Il successo mediatico del senatore di Italia viva misura la debolezza di quello che sembra essere il solo vero partito politico nella coalizione di governo.

Per farsi una ragione del successo mediatico di Renzi bisogna soffermarsi dunque sulla straordinaria debolezza del Pd.

Una debolezza d’immagine senza dubbio e forse anche di sostanza. Poiché se un soggetto individuale può con la retorica sopperire alla debolezza del suo gruppo, un soggetto collettivo non lo può.  Il soggetto Pd deve avere una forza suppletiva oltre a quella di una buona retorica.  Che immagine il Pd presenta di sé al pubblico?

Che “narrativa’, come si usa dire oggi, trasmette al mondo?  In questi mesi di recrudescenza della pandemia e però anche di preparazione per un futuro post-Covid, il Pd non ha mostrato al pubblico una forza di ideazione e progettualita comprensibile e chiara.

Del Pd i cittadini vedono la faccia istituzionale, i suoi ministri e il suo segretario, ma senza avere il senso che esista una grande idea propositiva per l’Italia del dopo pandemia.

Scarne parole, ma nessuna iniziativa nazionale che coinvolga come un magnete attori sociali e cittadini, che faccia discutere sulle pagine dei giornali, che lanci alcune parole-chiave. Balbettii e commenti.

Eppure, il Recovery Plan meriterebbe più di una seppur buona compagine ministeriale – un progetto di futuro prossimo targato centro-sinistra per il Paese.  Segni di vita energica, oltre che la necessaria sopravvivenza. 

Come creare entusiasmi per un progetto targato Pd?  Difficile dire. E questo demoralizza, lascia snervati.  Una parte del successo di Renzi la si deve al fatto che egli ha una sua constituency di riferimento rispetto alla quale ha modulato la sua controproposta di Recovery Plan.

Un’idea, la sua, non di democrazia sociale ma, come si legge nel programma di Italia Viva, di «liberalismo con venature sociali», che mobilita professionisti e industriali, capitale finanziario e multinazionali del digitale.

Come si posiziona il Pd in questa che è a tutti gli effetti una battaglia molto corposa sulla destinazione delle risorse ovvero su un modello sociale di paese?

Il Pd lavora alacremente e in silenzio con buoni ministri e dedizione ammirevole al bene di questo disgraziato paese. Ma ciò non basta.

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