Qualche giorno fa un mio amico ha messo su Instagram uno strano annuncio che ha visto appeso in giro, simile a quelli degli animali smarriti.

I genitori di una bambina francese cercavano un orsacchiotto di pezza che la figlia ha perso durante una vacanza a Roma. Fin qui, nulla di stravagante. Solo che offrivano una ricompensa di cinquecento euro, e si dicevano disposti a tornare in Italia per recuperarlo personalmente, spiegando che la figlia è “devastata”.

Possiamo pensare varie cose, che questi genitori sono molto benestanti, che viziano la figlia, che i bambini devono imparare ad affrontare la perdita degli oggetti cari, che non bisogna farne un dramma, sicuramente non un dramma da cinquecento euro. Di certo si tratta di un episodio che attira la nostra attenzione.

L’oggetto transizionale

Da qualche tempo mio figlio piccolo raccoglie ogni tanto un indumento che trova in giro, una camicia, una maglietta. Stringe fra le dita questo pezzo di tessuto, lo appallottola, lo abbraccia, lo trascina per casa. Non lo fa con indifferenza, ma con cura e con una specie di consapevolezza, quasi volesse farsi vedere in compagnia dell’oggetto, che ha proprio le sembianze di una presenza, di una relazione. Di una coperta di Linus, insomma. Come immaginiamo fosse l’animale di pezza per la bambina francese.

Ha le sembianze, cioè, di un oggetto transizionale, l’oggetto che i bambini da un certo punto in poi portano spesso con sé. Il pupazzo, la bambola, la coperta.

Qualcosa di fisico che ha un significato per loro, e che viene talvolta scambiato per una fissazione, ma che invece è il suo contrario, nel senso che sostituisce via via il legame simbiotico con una persona importante (perlopiù la madre) e aiuta la crescita. Rompe il cerchio. Apre lo scrigno delle possibilità della vita.

Il pezzo di tessuto che il mio bambino porta con sé però non sembra esattamente un oggetto transizionale, perché cambia, dipende da quello che lui trova su una sedia, sul letto.

Se guardo però con attenzione noto alcune caratteristiche costanti: è sempre un pezzo di tessuto, è sempre di cotone, è sempre bianco ed è sempre qualcosa che appartiene a me. Da un punto di vista concettuale è dunque un oggetto preciso. Mio figlio rompe il legame simbiotico con me portandosi dietro pezzi del mio guardaroba? In ogni caso, è un inizio.

L’oggetto transizionale è diffuso fra i bambini, non serve avere figli per saperlo, basta aver vissuto. Gli psicologi dicono che anche l’età adulta è costellata di oggetti transizionali. Ci stanno accanto e ci accompagnano silenziosamente. L’anello con un valore affettivo, una borsa particolare, un libro che abbiamo letto e riletto, la moto, persino l’abbonamento a una certa rivista. O qualcosa di astratto: un’idea alla quale siamo molto legati, i nostri valori non negoziabili. E lo smartphone. La frase più ripetuta dagli esseri umani nel 2022: “Oddio, dov’è il mio telefono?”

Consolazione

Da scrittrice (che poi vuol dire anche da persona curiosa dei comportamenti) mi interessa l’idea dell’oggetto transizionale.

Un bambino che lo usa lo fa per rassicurarsi e per cercare una consolazione che lo aiuterà a camminare da solo. Consolazione, dunque, ma anche evoluzione. Oggi la parola consolazione ha una pessima nomea, la parola consolatorio fa venire in mente quei brutti libri di cui sentiamo ogni tanto parlare, “ha scritto un romanzo consolatorio”.

Anche la politica può assumere strategie consolatorie, e farlo con furbizia, per raccogliere consenso. La parola consolatorio ha spesso il sapore di qualcosa di calcolato. Eppure i bambini cercano spontaneamente una consolazione nell’oggetto transizionale, e cercano anche uno spazio di crescita, di autonomia. Il vero oggetto transizionale ha una natura composita.

Nella serie televisiva Stranger Things una ragazzina ascolta ripetutamente la sua canzone preferita per proteggere la propria mente dagli attacchi di un mostro terribile. La canzone preferita la trasporta verso luoghi psichici felici dentro i quali il mostro non riesce a spingersi. La canzone preferita è in questo caso un oggetto transizionale che si trasforma addirittura in un’arma di difesa.

Oggi il bisogno più profondo di molti di noi è quello di essere apprezzati e compresi. I social, per esempio, oltre a essere un mercato, sono anche una grande caccia alla ricerca dell’apprezzamento e della comprensione.

Non stupisce che talvolta appaiano come un oggetto transizionale, una consolazione, salvo poi lasciarci con una sensazione di rabbia e svuotamento, e non di crescita. Forse dobbiamo imparare a scegliere con più cura i nostri oggetti transizionali. I bambini lo fanno.

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