La mattina dell’8 ottobre 2001, dopo un mese di permanenza in un Afghanistan congelato in attesa di una nuova guerra, io e Giulietto Chiesa siamo saliti su una Uaz per lasciare la valle del Panjshir e tornare in Europa. Dopo qualche centinaio di chilometri di strade, piste sterrate, ponti costruiti con avanzi di carri armati sovietici, il cielo al confine con il Tagikistan è stato oscurato da una immensa nuvola di aerei da trasporto truppe e bombardieri statunitensi. La guerra era iniziata. Noi ce ne andavamo, e cominciava la guerra più inutile, costosa, mal raccontata e soprattutto malamente persa che la storia ricordi. Al nostro paese l’avventura afgana è costata circa 8 miliardi e mezzo di euro. Gli investimenti per “costruire la democrazia”, e cioè gli investimenti in cooperazione civile, ammontano in venti anni a meno di 320 milioni. Agli Stati Uniti la guerra è costata più di duemila miliardi di dollari.

Il mercato dell’eroina

Soprattutto, la guerra in Afghanistan è costata ufficialmente 240mila morti. Ma chi l’ha vissuta sa benissimo che questa cifra è ridicolmente bassa rispetto alla realtà, perché difficilmente si sono potuti contare i morti dei raid aerei – che nei primi anni del conflitto erano tutto fuorché “mirati” o “chirurgici” – che gli aerei americani, inglesi, francesi, tedeschi e, come abbiamo raccontato su PeaceReporter mai smentiti, anche italiani, hanno compiuto su centinaia di villaggi, soprattutto nel sud del paese, quell’Helmand da sempre fortezza dei talebani, e solo parzialmente controllata dagli occidentali nonostante lo spaventoso sforzo bellico. Una regione, l’Helmand, che se non fosse attraversata dall’omonimo fiume sarebbe totalmente desertica.

Ma che grazie a quel corso d’acqua è diventata produttrice di quasi il 95 per cento dell’eroina al mondo. E certamente il controllo del mercato dell’eroina, di cui l’Afghanistan è diventato primo produttore mondiale – prima della guerra si produceva e si esportava oppio, sono stati gli occidentali a portare il know how per produrre la polvere pura – è stato uno dei motivi non detti per cui questa guerra si è fatta ed è durata così a lungo. La lotta alla produzione di oppio era uno dei motivi, insieme alla liberazione delle donne dal burqa, che venivano proposti all’opinione pubblica di tutto il mondo per giustificare la guerra. «Voi credete che il governo e i suoi alleati occidentali vengano a distruggere i raccolti», ci hanno raccontato nel 2006 due contadini di Lashkar-gah, la capitale di quella regione. «In realtà vengono a rubare i papaveri maturi».

La corruzione imperante tra i fantocci messi a governare il paese nei lunghi anni di guerra non si è ovviamente tirata indietro di fronte a un business miliardario come quello del commercio dell’eroina che ha fatto arricchire molti dei governanti afgani. E se alla fine la produzione di oppio è finalmente calata è stato per le leggi di mercato e non certo per la guerra. Adesso l’alleanza occidentale più vasta della storia ha preso atto – come già hanno fatto gli inglesi e poi i russi e prima ancora tutti coloro che hanno provato a conquistare l’Afghanistan – che nel “grande gioco” gli unici che possono vincere sono gli afgani.

Ma questa volta hanno vinto i potenti, i corrotti e i talebani. Non certo il popolo afgano, che con le migliaia di miliardi di dollari spesi per la guerra avrebbero potuto costruire quasi un paradiso. Una guerra durata oltre quarant’anni, cominciata con l’invasione dell’Unione Sovietica. Proseguita con la creazione – da parte della Cia – della resistenza al comunismo messa in mano a bin Laden e proprio ai talebani, e finita con un ritiro che sancisce una sconfitta su ogni fronte: militare, politico, culturale. Che, soprattutto, lascia l’intero paese sotto il governo dei talebani e sotto l’ombra dell’Isis. E con le donne con sempre meno diritti e sempre più stoffa azzurra a coprirne volto e fattezze.

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