E Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie». E così avvenne: […]» Siamo in Genesi 1, 11, il terzo giorno della creazione. Il commentatore principe della Torah, il grande Rashi di Troyes (1040-1105), invita a riflettere sui due termini, «germogli» e «erbe». In ebraico deshe e ‘eśev.

Col primo si intenderebbe l’erba nella sua genericità, col secondo le singole piante.

Basterebbe questa indicazione per far capire che, no, non è vero che ognuno possa decidere per sé, come sostenuto su queste pagine da Roberta Villa.

Ogni scelta del singolo ha un’inevitabile ricaduta su tutto il sistema, perché ognuno di noi è contemporaneamente deshe e ‘esev, tutto e singolo insieme.

Che cosa succeda al sistema nel suo complesso se le scelte dei singoli si rivelano improvvide di fronte ad Omicron lo abbiamo già visto a dicembre-gennaio: collasso del sistema tamponi, migliaia di disdette per le vacanze a danno degli esercenti già provati da due anni di chiusure, lockdown di fatto nelle grandi città a danno delle attività commerciali, classi scolastiche ridotte a pochi alunni, intasamento degli ospedali, migliaia di interventi rimandati con carico da smaltire nei mesi successivi, trasporti bloccati, 300-400 morti al giorno.

In questa terza estate Covid, in una situazione comunque enormemente diversa dal 2020 grazie all’efficacia dei vaccini, le cose non sembrerebbero molto diverse rispetto a fine 2021 e inizio 2022.

Le ospedalizzazioni salgono, così le terapie intensive, i decessi e il sistema inizia a fare i primi scricchiolii con annullamenti di treni e personale lavorativo in quarantena un po’ ovunque.

Anche negli ospedali, come denunciato dalle pagine di Repubblica da Pierluigi Viale, direttore delle Malattie infettive del Sant'Orsola di Bologna.

E non siamo ancora al picco; e non siamo ancora in autunno, quando ai raduni all’aperto, comunque serbatoi di contagio, si sostituiranno le classi scolastiche, i mezzi pubblici intasati e i ritrovi al chiuso.

È chiaro che, in un sistema economico-sociale già stressato da ogni tipo di emergenza, non possiamo permetterci rallentamenti di questo tipo più volte l’anno.

Il solito dilemma

 Le strade sono due: o modifichiamo i comportamenti in modo strutturale limitando la circolazione nelle città, cambiando il modo di vivere la socialità, mantenendo fino a data da destinarsi le mascherine al chiuso e accortezze di questo tipo, oppure il sistema va cambiato. Inutile pensare di poter isolare milioni di over 65 dal resto della società.

Vorrebbe dire separare nonni da nipoti, colleghi di lavoro da altri colleghi, professori da alunni. Impedire o agli uni o agli altri di prendere gli stessi mezzi, gli stessi treni, far la spesa negli stessi supermercati.

Cambiare il sistema significa, molto semplicemente, annullare tutto: mascherine e quarantene. Una scelta che dovrebbero prendere le autorità politiche, ma che passa attraverso il parere dei medici.

Alcune domande sorgono spontanee: un esempio di un simile cambio lo abbiamo, è l’Inghilterra, dove il liberi tutti è scattato a febbraio.

Ora, lasciamo stare il numero dei contagi chiaramente falsato da un crollo dei test, non abbiamo però visto un collasso degli ospedali.

Le terapie intensive sono circa come da noi, a fronte, però, di una maggiore pressione ospedaliera. Come sono messi gli altri parametri, a cominciare dai luoghi di lavoro? Quanti sono a casa con la febbre? A parte il maggior numero di morti, il sistema inglese sta pagando un prezzo alle sue scelte?

Va detto che per un’Inghilterra, abbiamo un Israele, dove si segue, seppur da meno tempo, una stessa politica. Le cose non vanno bene: terapie intensive quasi come da noi, ma con un sesto degli abitanti. Il governo pensa di reintrodurre le mascherine al chiuso. Perché queste differenze?

Senza risposte a queste domande non si può scegliere a ragion veduta e non rimarrà, questa volta sì, che affidarsi alle scelte individuali.

Sapendo, però, che nessun uomo è un’isola e che non si va molto lontano senza una coerenza fra dimensione collettiva e individuale.

© Riproduzione riservata