Calciatori in ginocchio contro il razzismo, secondo voi è un gesto che serve a qualcosa?». È la domanda posta da Matteo Salvini in un sondaggio su Instagram, ottenendo dai suoi sostenitori un prevedibile 77 per cento a favore del no.

Pare facile obiettare che sicuramente serve, visto che stiamo qui a parlarne. I simboli muovono il mondo, anche se in modo indiretto e imprevedibile: basta vedere cosa succede spostando due bottiglie di Coca-Cola in mondovisione. Ma il dilemma della genuflessione, inutile negarlo, divide l’opinione pubblica ben oltre le classiche divisioni politiche.

Perché non bisogna necessariamente essere razzisti per rifiutare di abbracciare le forme e i modi di questa specifica protesta: potrebbe trattarsi di un genuino fastidio per la nostra subalternità all’agenda politica americana; o di un fastidio altrettanto comprensibile per intellettuali, giornalisti, attivisti e moralisti di ogni genere, che sembrano calare dall’alto sempre nuove prove iniziatiche — gesti da fare o da non fare, parole da dire o da non dire — per poi trarne qualche vantaggio reputazionale. Questo fastidio, però, bisogna superarlo.

Mettiamoci il cuore in pace: in ogni società ci sono individui che traggono benefici dalle buone cause, ed è per questo che — come ci ricordano continuamente i populisti — talvolta i buoni appaiono indistinguibili dagli ipocriti. Ma è davvero un problema? Adam Smith diceva: «Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dalla cura che essi hanno per il proprio interesse». Fate finta che valga lo stesso per chi esibisce con un po’ troppo zelo la sua virtù: «Non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro interesse personale». E andiamo oltre.

Perché mentre ci azzuffiamo tra bianchi per decidere chi è meno virtuoso e chi è più ipocrita, il razzismo continua a esistere. Non soltanto negli Stati Uniti d’America, ma anche qui da noi. E non soltanto il razzismo dei razzisti, sarebbe troppo facile, ma soprattutto il cosiddetto “razzismo sistemico”, concetto troppo spesso banalizzato: ovvero quel razzismo che non sorge da una volontà intenzionale, bensì è il risultato di tanti minuscoli fattori e meccanismi disseminati nella società, che inchiodano gli individui alle loro origini. Un razzismo che non è né di destra né di sinistra, che non può essere trascinato in tribunale, che resta invisibile proprio mentre invisibilizza una parte della popolazione. I risultati sono invece visibili nelle statistiche, dalla discriminazione nell’accesso al lavoro alla segregazione urbanistica.

Dopo decenni di promesse di mobilità sociale non mantenute, come stupirsi che molte persone che s’identificano come nere in tutto l’occidente abbiano visto nelle proteste americane — al cuore dell’Impero, dove il conflitto è più aspro — una possibilità di riscatto?

Domani un gesto simbolico della Nazionale sarebbe probabilmente apprezzato da una minoranza alla quale nessuno ha finora mai mandato un simile segnale di considerazione. Non risolverà nessun problema, è vero, ma ricorderà a tutti che un problema c'è.

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