È sempre la solita storia. Una grande confusione quando si affronta il tema dell’abbigliamento consono al ruolo che si ricopre o al luogo in cui ci si trova. Mi ricordo che, tredicenne, in chiesa mi si avvicinò un sacerdote – allora indossavano ancora la tonaca – e mi invitò a uscire perché la mia gonna era troppo corta. Naturalmente non protestai e feci quello che mi chiedeva.

Così, mentre leggo che la proposta dell’obbligo di indossare la cravatta e di vietare le sneaker ai nostri deputati all’interno di Montecitorio, ossia “la stretta sul dress code”, ha spaccato l’emiciclo perché il decoro è altro, penso come sia facile attaccarsi a un abito per rivendicare una certa idea di libertà. Perché ai nostri parlamentari non si può impedire di stare comodi: senza cravatta e con le sneaker ai piedi. Le opposizioni si uniscono per la battaglia. Rinunciare alle scarpe da ginnastica? Giammai. La forma non è la sostanza.

Sotto l’espressione “grande rinuncia”, ossia la messa a punto del completo tre pezzi scuro, quell’uniforme borghese che ha chiuso decisamente con tutti gli eccessi e stravaganze che rendevano l’abbigliamento maschile troppe simile a quello femminile, si è dato forma all’ascesa di una nuova classe sociale che non aveva bisogno di fronzoli o altro per dimostrare valore, preparazione e anche ricchezza. La grande rinuncia segna il cambiamento epocale che alla fine del Diciottesimo secolo, complice la Rivoluzione francese, apre all’affermazione di un ceto che, attraverso un cambio d’abito radicale, testimonia il suo ruolo attivo nella società.

LAPRESSE

Personalmente penso che i dress code aiutino a vivere meglio – ci sono meno responsabilità e si è sicuri di non sbagliare – così come sono convinta che l’abito faccia il monaco. Trovo estremamente dannose tutte quelle rubriche e quelle trasmissioni televisive che distribuiscono consigli su come vestirsi nelle diverse occasioni, e che soprattutto appiattiscono in un birignao piccolo borghese la grande scommessa di usare gli abiti per essere consapevoli di quello che siamo e di come vogliamo vederci allo specchio.

Poi è ovvio che la libertà deve avere un doppio movimento. Essere reciproca. Rispettare usi e abitudini di un popolo non vuole dire essere meno liberi ma solamente essere rispettosi di un’altra cultura. Così come essere rappresentanti del popolo obbliga a essere consapevoli del ruolo e delle responsabilità che si hanno rispetto a una intera nazione che ti guarda. Sergio Mattarella, nella sua uniforme quotidiana, è perfettamente consapevole delle sue responsabilità.

Non dimentichiamo che il vestito impone anche una postura nella coreografia tra corpo e abito: è proprio la forma di quello che indossiamo a ricordarci i nostri doveri. E a chi dobbiamo rendere conto.

Mi sono poi ricordata di quanto erano sexy i protagonisti di Le Iene di Quentin Tarantino nella loro uniforme maschile completa di cravatta e scarpe allacciate. Abiti uniforme che, come tutte le uniformi, lasciavano grande spazio all’immaginazione.

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