«Bisogna abbracciare prospetti dinamici che esprimano paradigmi virtuali di impatto permanente e perifrastico!» (Elly Schlein). Questa e altre simili frasi senza senso attribuite alla segretaria del Pd circolano da giorni sui social, lasciando interdetti coloro che credono che si tratti davvero di una citazione e coloro che colgono la propaganda lanciata dalla destra e dai suoi consci o inconsci sostenitori per indebolire il maggiore partito di opposizione.

È una strategia retorica populista che invita ad identificare la leader democratica con una minoranza elitaria, lontana dal popolo. “Non parla come il popolo”, “non parla come mangia”, “non parla con empatia”, “sembra una studentessa sotto esame”, “parla come se si rivolgesse ai suoi amici”, ecc.

Lo scatenamento di questo metodo di denigrazione rivela il tenore di un’opinione pubblica incivile, che per nullificare i contenuti (proprio quando sono difficili da contestare) usa la strategia della demolizione di chi li propone. In questo modo, invece di parlare del pessimo accordo tra Roma e Tunisi (criticato largamente in Europa), in Italia ci si sofferma sul termine usato da Schlein qualche giorno fa a Otto e Mezzo: il governo italiano usa la politica dell’esternalizzazione.

L’esternalizzazione

I lavoratori precari italiani sanno che cosa sia l’esternalizzazione, lavorando per cooperative e aziende che sono appaltate per svolgere parti di un lavoro per un’azienda madre, la quale può così lucrare su un lavoro eseguito a costi più bassi di quelli che avrebbe se assumesse i lavoratori.

Esternalizzare significa far fare ad altri il lavoro sporco, nascondendo la responsabilità per l’eventuale danno ai lavoratori (o ai migranti). Non è poi così difficile da capire dopo tutto. Parla di deresponsabilizzazione. Ma quella parola ha provocato un putiferio sui social, facendo divertire (che è sano e legittimo) e scatenando il sarcasmo (anch’esso sano e legittimo). L’esito di quel divertimento più che legittimo non è per nulla ironico. L’esito è pagare dazio alla logica populista che vuole il semplicismo (da non confondersi con la semplicità), che vuole che la parola sia propaganda urlata e scandita emotivamente.

Proprio come fa Giorgia Meloni quando veste i panni della pasionaria sovranista – sarebbe interessante sapere come i traduttori del suo discorso all’Onu abbiano reso il termine “scafista” nelle loro lingue che la presidente ha usato per indicare un nemico dell’umanità al quale dichiarare guerra e chiedere l’intervento delle Nazione Unite. Ma quella parola per noi italiani è facilissima, anzi semplicissima.

Colpire la pancia

Si vuole dunque una lingua che arrivi alla pancia, salvo poi lamentare una politica che parla alla pancia, dimenticando le critiche al linguaggio difficile e prendendo a castigare il semplicismo. Da un estremo all’altro. L’opinione competente che dovrebbe guidare il giudizio pubblico si fa in questo modo attenta generatrice di audience: quanti click ha avuto quell’articolo? Quanti follower ha scatenato quella bastonatura linguistica?

Un metodo che eleva e butta giù persone e leader con velocità; che non lascia articolare un argomento perché la logica dell’interlocuzione pubblica è quella di Twitter: in due parole che parlino alla pancia si deve esprime il senso delle cose.

Non c’è tempo per spiegare. Ha un effetto civico riascoltare le interviste di Enzo Biagi ai politici e alle politiche del suo tempo, conversazioni a tratti difficili per le orecchie di oggi, abituate ad ascoltare la pancia.  

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