Il 15 ottobre, echeggiando Clausewitz, il più celebre degli storici militari inglesi, Laurence Freedman del Financial Times ha scritto: «In guerra, l’arte della strategia è quella di fare coincidere i mezzi militari con gli obiettivi politici. [Se i capi militari] non ci riescono in questa impresa, qualcosa deve cedere: o gli obiettivi debbono essere resi più realistici, o altri metodi militari debbono essere inventati. Se non è possibile nessuno di questi risultati, subentrerà la frustrazione, la disillusione o peggio ancora».

Ovviamente Freedman si riferiva alla situazione delle forze armate israeliani davanti alla terribile questione Hamas. Ma nei giorni in cui in Italia ricordiamo l’ottantesimo anniversario del conferimento da parte delle Nazione Unite dello status di “co-belligerante” all’Italia post- Fascista, post-armistizio, forse bisogna chiedersi se dietro quella grande mistificazione non vi fosse proprio la questione posta da Freedman – il rapporto tra strategia militare e obiettivi politici – e l’impossibilità da parte degli anglo-americani di gestire questo rapporto in modo costruttivo, plausibile e “realistico”. 

Il capo politico della apparato alleato, il “ministro Residente” inglese Harold Macmillan, si lamentò con i suoi capi a Londra nel settembre 1944: «Viviamo nelle cupe ombre del mistero.. Non possiamo conciliare le contraddizioni della nostra politica italiana. A volte gli italiani sono nemici, a volte cobelligeranti. Talvolta desideriamo punirli per i loro peccati, talvolta vogliamo apparire come liberatori e e angeli custodi. Tutto ciò mi stravolge».

Le contraddizioni italiane          

I diari di Macmillan – raffinato uomo politico destinato a diventare Primo ministro negli anni Cinquanta -  fanno capire quali erano queste contraddizioni: l’incertezza se l’Italia sarebbe stato futuro alleato liberato o nemico sconfitto, la distanza tra la visione positiva degli americani delle prospettive italiane e quella degli inglesi (e tra i loro rispettivi ideali e i loro interessi), tra i militari e i politici, tra la volontà di portare avanti la guerra e tutti i costi, e la necessità anche politica di portare soccorso e speranza ai popoli “liberati”, tra le promesse della propaganda e la reale capacità di gestire anche materialmente le situazioni prodotte dalla guerra.

Poi bisogna aggiungere la voglia e la necessità degli alleati anglo-americani di mediare il loro rapporto con quel frammento residuale del governo italiano rappresentato dal Re e da Badoglio, contrapposta con la voglia di rivincita espressa dalle vittime del fu impero fascista. Ai sui diari Macmillan confidò: con l’idea della cobelligeranza «stiamo camminando su una fune (soprattutto in un tempo in cui i francesi, i greci e gli yugoslavi gridano ad alta voce la loro voglio di vendetta [contro l’Italia])».

Quando, nei negoziati diplomatici,  fu tirata fuori dai capi politici alleati presenti sul campo la formula della co-belligeranza - lo strumento che aveva regolarizzato i rapporti tra gli Stati Uniti e l’intesa Anglo-francese-russo nella Grande guerra - fu frutto di un compromesso tattico. Da una parte conferiva sul governo del Re e di Badoglio lo status di un’autorità formalmente rappresentativa della continuità dello stato costituzionale italiana. E, a Londra almeno, le autorità erano consapevoli che il diritto internazionale in vigore obbligava ogni forza di occupazione di rispettare le leggi e le istituzioni del territorio occupato, anche se allo stesso tempo gli stessi esperti legali consideravano lo status giuridico della cobelligeranza «altamente anomala… fuori di ogni analisi e classifica legale esistente».

Atteggiamento problematico

Il Foreign Office trattò l’idea della cobelligeranza in modo sprezzante, sostenendo che avevano sempre previsti che il Maresciallo avrebbe provate a negoziare la sua resa invece di accettare la formula prevista della resa incondizionata, senza se e senza ma. Poi: «Cosa ha [il governo Badoglio] di offrirci in cambio ?  .. I capi di stato maggiore britannici sanno benissimo che il valore degli italiani come belligeranti attivisti è trascurabile. Peggio.. la co-belligeranza ‘significa che dobbiamo trattare gli italiani simultaneamente come amici e nemici».

Tra gli Alleati, nessuno più dei francesi era fermamente deciso a punire l’Italia per le avventure imperiali del fascismo, rifiutando apertamente di riconoscere la cobelligeranza. Le direttive di De Gaulle chiedevano la neutralizzazione di ogni capacità militare italiana, riservandosi «la possibilità di intervenire offensivamente per via di terra su Torino, Milano e Genova». Bisognava tenere il paese sotto la costante minaccia di invasione, con l’appoggio austriaco, jugoslavo e greco, disse questo punto vista.

Molti mesi dopo il dipartimento di Stato americano ha voluto spiegare ai suoi che l’America aveva sempre accettato l’Italia come cobelligerante, e di aver messo «in pratica una politica che avrebbe permesso all’Italia di riguadagnare la fiducia in stessa e l’indipendenza politica ed economica». Chi scriveva, il futuro ambasciatore in Italia, James Clement Dunn, faceva intendere che questo piano era stato sabotato sin dall’inizio dallo spirito di vendetta britannico. Ma gli americani non avevano una grande alternativa da proporre, se non un’alleggerimento del sistema di controllo sistematico di tutto il territorio liberato, installato dopo i due armistizi. Con la dichiarazione di Hyde Park del settembre 1944 di Roosevelt e Churchill, questo aggiustamento era arrivato, accompagnato da un pacchetto di aiuti finanziari e materiali.

I vantaggi

Per i comandi militari sul posto l’utilità della cobelligeranza consisteva proprio nella sua vaghezza ed imprecisione. Non conteneva alcun impegno formale verso le autorità italiane del momento, né verso alcun eventuale sforzo bellico da parte loro. Non aveva nessuna spessore politico: il suo annuncio consisteva in una sola frase firmata dalle autorità militari inglesi, americane, e sovietiche il 13 ottobre. Non fu citata in nessun documento alleato fino al Trattato di Pace di Parigi, del 1947. Era una forma di bluff, che ha sospeso nell’aria la sovranità italiana fino a quel momento, quattro lunghi anni dopo. Ha dato carta bianca alle forze militari alleate per comportarsi allo stesso tempo da liberatori ed occupanti, a seconda delle circostanze in cui si trovavano. Nessun altro ex nemico, poi convertito alla causa delle Nazioni unite – Romania, Bulgaria, Finlandia, Ungheria – ha conosciuto lo status di cobelligerante.

La campagna bellica in Italia è durata infinitamente più a lungo del previsto, e così ha permesso alle profonde differenze di interessi, di ambizioni e di capacità politico-militari tra inglesi, americani e pure sovietici di emergere. Eliminare l’Italia dalla guerra, eliminare il fascismo, usare le risorse italiane disponibili per portare avanti la campagna bellica nella penisola: su questi punti di base non vi erano problemi. Ma poi? Con la fine della guerra appena oltre l’orizzonte – si credeva – ogni grande e piccola potenza ha cominciato ha fare i suoi calcoli strategici e geopolitici. Gli europei tutti consideravano una resa dei conti con l’Italia, sul passato, inevitabile. Solo gli americani avevano altre idee, ma loro non erano stati attaccati dall’Italia fascista, e comunque volevano procedere il più rapidamente possibile alla ricostruzione dell’intero sistema internazionale.

È il fattore tempo che ha messo in rilievo l’incapacità o la non-disponibilità degli Alleati di sintetizzare strategia militare e obiettivi politici. La campagna dei bombardamenti è andata avanti dal primo giorno della guerra fin oltre l’ultimo, come ha dimostrato Matthew Evangelista in un libro recente, Allied Air Attacks and Civilian Harm in Italy, Bombing Among Friends, (Routledge 2023),. Se all’inizio questo atteggiamento poteva essere spiegato come forma di pressione per accelerare il crollo del Fascismo, dopo è andata avanti con un logica tutta sua, indipendentemente da quella che succedeva a terra, fa capire Evangelista. Doveva bloccare fisicamente la capacità di combattimento dei tedeschi, ma neanche questo obiettivo fu raggiunto. Intanto 40.000 civili sono stati uccisi dopo la firma degli armistizi, mentre l’Italia è stata trasformata in cobelligerante. 

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