La conferenza stampa del presidente del Consiglio di inizio anno ha certificato con certezza una fatto: la centralità oggi assoluta di Giorgia Meloni nella politica italiana.

Si prefigura un possibile dominio elettorale di Fratelli d’Italia sugli alleati di governo. Il pensiero corre a Forza Italia e Lega. La prima ha per ora retto bene nei sondaggi alla scomparsa di Berlusconi, ma è noto che nell’ultimo tratto di campagna elettorale lo spazio per partiti più piccoli e senza una forte leadership mediatica si assottiglia.

È quanto rischia il partito oggi guidato da Tajani che potrebbe perdere qualche punto percentuale da qui a giugno. Tuttavia su Forza Italia non pesano grandi aspettative e come membro del Ppe un risultato superiore alla soglia di sbarramento del 4 per cento permette alla creatura fondata da Berlusconi di mantenere un proprio potere strategico nei giochi a Bruxelles.

Peggiore sarebbe il destino della Lega nel caso in cui Salvini non dovesse sfondare alle urne. Il segretario leghista ha imbracciato una strategia rischiosa: si è spostato all’estrema destra, persegue un programma euroscettico e rifiuta compromessi al centro, ha scelto alleati radicali sia sul piano interno che esterno, si pensi alle posizioni filo-russe.

Questa manovra influenza le scelte di Meloni, come accaduto sul Mes e sull’attuazione della Bolkentstein, ma è anche una mossa che espone Salvini ai rovesci di fortuna. Se la Lega non dovesse sfondare sul piano elettorale questa strategia sarebbe pagata a caro prezzo. Si immagini un risultato simile a quello deludente delle politiche magari con Fratelli d’Italia oltre il 30 per cento e Meloni disposta a trattare con le altre forze politiche per il governo dell’Unione europea. A quel punto Salvini sarebbe in un cul-de-sac, isolato e indebolito, incapace di mobilitare grandi consensi, con un elettorato quasi solo concentrato al nord. E con un ministro Giorgetti pronto ad aiutare la premier più che il suo segretario. Per quanto stabile e conservativa nella Lega a quel punto potrebbe succedere qualcosa che segnerebbe la consunzione della stella di Salvini.

Per quanto i governatori delle regioni e dei comuni saranno disposti a sopportare le sbandate senza successo del segretario? E Salvini insisterebbe con la radicalizzazione o si schiaccerebbe su Meloni pur di conservare il posto? Siamo di fronte ad una mina innescata che può esplodere in varie direzioni. Meloni stessa se ne è resa conto, ne vede il rischio e l’opportunità: da un lato protegge Salvini dalle accuse relative alle inchieste giudiziarie che lo lambiscono per evitare scossoni al governo, ma dall’altro cerca di mangiare tutto lo spazio politico alla Lega.

La proposta di un duello tra il presidente del Consiglio e Schlein si iscrive in una ottica di polarizzazione che mira a spolpare gli alleati e dividere le opposizioni. Da un lato c’è la marcatura sulla Lega su temi sovranisti, ma dall’altro ci sono le aperture al secondo mandato di Von der Leyen e una centralizzazione quasi totale delle scelte fondamentali del governo.

Per parafrasare una formula molto nota: «La destra sono io», e io soltanto, è il messaggio implicito che la premier manda agli elettori. In primis possono farne le spese i suoi alleati, ma anche un plebiscito a favore di Meloni avrebbe degli svantaggi per Fratelli d’Italia: crescerebbero le aspettative degli elettori sulle promesse elettorali e soprattutto aumenterebbe progressivamente l’inquietudine di Lega e Forza Italia col rischio di una destabilizzazione degli alleati che in Italia significa scissioni, frammentazioni e trasformismo. Nel sistema politico italiano la vittoria si perdona, ma la stravittoria no.

© Riproduzione riservata