L’inizio della corsa al voto 2024, con il prossimo duello in tv Giorgia Meloni-Elly Schlein, anticipo dello scontro alle europee, ha coinciso con la scomparsa di Giulio Santagata. Non si atteggiava a spin doctor o a guru, ma se avesse scritto un manuale oggi andrebbe studiato, è stato lui a organizzare le due uniche campagne elettorali vincenti del centrosinistra in trent’anni (in realtà nel 1996 l’Ulivo di Romano Prodi perse numericamente, prese meno voti del Polo berlusconiano, ma vinse politicamente, con un capolavoro politico. Nel 2006 l’Unione vinse numericamente, sia pure di un soffio, ma perse politicamente e si dissolse dopo poco).

Tra gli ulivisti Arturo Parisi è sempre stato il visionario delle scelte più innovative, Santagata un’intelligenza pragmatica, ruvida, capace di scomode verità. Nel 1998, a proposito di cosa dovrebbe fare un consigliere del leader, spedì un bigliettino a Prodi presidente del Consiglio, all’apice del successo, e lo avvisò: «Tra 15 giorni entriamo nell’euro, il 2 maggio si apre la stagione della caccia. Ricorda, tu non avrai il ruolo del cacciatore». Pochi mesi dopo il governo Prodi fu buttato giù da un colpo di Palazzo della sua maggioranza.

Nel 1995 Santagata organizzò il primo pullman dell’Ulivo, partendo dal cinema Aurora di Tricase, scelto puntando a caso il dito sulla cartina. Cominciò un viaggio in Italia a bordo di un vecchio Fiat 370 carrozzeria Padane. Me lo raccontò così: «Eravamo abbandonati a noi stessi, giravamo da soli. Prodi ascoltava più che parlare, ci chiedeva i dati economici dei territori, voleva sapere tutto. Ad Abano doveva incontrare gli albergatori, mentre il pullman stava per arrivare sfogliava gli appunti che gli avevamo preparato, si mise a urlare come un matto: “Non ci sono i dati dei turisti divisi per nazionalità!”. Intanto, le piazze si moltiplicavano».

Il pullman era l’alternativa allo strapotere mediatico di Berlusconi, l’asfalto contro i cieli azzurri, il popolo vero contro la gente della tv. Nella campagna per le politiche del 1996 a quello di Prodi si affiancò il pullman di Veltroni. Berlusconi aveva trionfato nel primo confronto con Prodi a Milano dalla Confcommercio: ovazioni per il leader del Polo, urla e fischi per il professore. «Bisognava cambiare passo, essere più aggressivi, serviva più cattiveria, più durezza. Dovevamo batterci perché gli altri giocavano sporco. Prodi, raffigurato come una mortadella, si incazzò e tirò fuori una grinta inaspettata». Si capì che l’Ulivo poteva vincere, «anche se nessuno scommetteva una lira su di noi», ricordava Santagata. Non c’erano apparati, agenzie, ma solo un gruppo di volontari nella sede di piazza Santi Apostoli. Una campagna tutta fatta in casa, quasi trasandata, che oggi farebbe impazzire i professionisti del consenso, con i programmi delle giornate pianificati a gomma e matita su un tabellone bianco.

«La campagna elettorale del 2006 è solo in apparenza la replica di quella di dieci anni prima, in realtà è l’esatto contrario», raccontava Santagata. Sua l’idea della Fabbrica del programma, un capannone industriale in zona Corticella alle porte di Bologna, un quartiere che era l’Emilia in miniatura, per comunicare l’idea di paese del Professore. Ma il successo non si era ripetuto. «Era arrivato il Porcellum, il ritorno alla proporzionale», spiegava Santagata. «Nel 1996 c’erano le 88 tesi votate dalle assemblee dell’Ulivo, nel 2006 c’è il volume del programma, preparato dai partiti, lungo 279 pagine. Nel 1996 Berlusconi non prendeva Prodi sul serio, nel 2006 succede l’opposto, il centrosinistra pensava di aver già vinto. Nel faccia a faccia in tv Berlusconi ci frega, nell’ultima risposta promette di abolire l’Ici, noi rispondiamo con una comunicazione un po’ fighetta. Nella sede di piazza Santi Apostoli ci avevano lasciati soli».

Che lezioni si possono trarre per l’oggi da questa storia ormai remota? Il manuale Santagata, se potesse parlare come lui, con il sigaro in bocca, ci direbbe che la comunicazione viene dopo la politica e che la campagna è ascolto, mentre il centrosinistra da decenni non parla e non ascolta nessuno. Poi, che la polarizzazione con l’avversario va gestita con cura. Infine, che bisogna battersi con durezza, cattiveria, specie quando c’è la sproporzione di mezzi economici e mediatici che è la cifra del centrodestra italiano, ieri come oggi. Per questo Schlein farebbe bene a far tesoro di queste lezioni, nel metodo e nello spirito, che vengono dal passato del centrosinistra, da un uomo che è stato un artigiano della politica, la sua parte migliore.

© Riproduzione riservata