Il sistema partitico italiano si avvia verso un nuovo assetto. Nel 2013, dopo un ventennio di conflitti tra centro-destra e centro-sinistra, ci siamo trovati con un sistema partitico stravolto dall’irruzione grillina. In quelle elezioni le coalizioni guidate rispettivamente da Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi, quasi appaiate come nel 2006, furono raggiunte dal Movimento 5 stelle, tant’è che tutte e tre ottennero percentuali simili, tra il 25 e il 30 per cento. Il bipolarismo era andato in frantumi.

Nonostante il centro-sinistra avesse la maggioranza assoluta alla Camera, ma non al Senato, il Pd e il suo leader vennero travolti dal mancato successo, dal rifiuto grillino di qualsiasi forma di accordo e dall’affondamento della candidatura alla presidenza della Repubblica di Romano Prodi. Non rimase che una “piccola grande coalizione” tra Pdl e Pd guidata da Enrico Letta. Sappiamo come è andata a finire, e come il Pd sia stato prima portato sugli altari da Matteo Renzi e poi trascinato da lui stesso al disastro del 2018 (18,7 per cento) .

Le ultime elezioni hanno riproposto il tripolarismo tra un centro-sinistra in ginocchio, un centro-destra rinvigorito dal suo nuovo leader, Matteo Salvini, e un M5s trionfante dall’alto del suo 32,7 per cento. Solo nel lontano 1987 un partito, la Dc, ottenne un risultato superiore, ma di poco: 34,3.

La deriva

L’iniziale alleanza post-elettorale tra M5s e Lega configurava un possibile, ulteriore scardinamento del sistema dei partiti. Le pulsioni plebiscitarie di entrambi i partiti avrebbero potuto introdurre innovazioni istituzionali disinvolte – come l’adozione di strumenti di democrazia diretta senza contrappesi – tali da far scivolare l’Italia lungo una china plebiscitaria. Quella soluzione è stata archiviata. Nell’estate del 2019 il Pd ha ingoiato una tonnellata di rospi e ha accettato per amor di patria di sostituire la Lega nella partnership di governo. Tuttavia quello che sembrava un altro governo di emergenza destinato a finire una volta ridimensionato il pericolo Salvini, è diventato altro. Progressivamente i Cinque stelle hanno abiurato molte loro posizioni antipolitiche e anti-europee e si sono avviati verso una normalizzazione istituzionale grazie alla guida di Giuseppe Conte. Ai Cinque stelle mancava una leadership riconosciuta, visto l’autoisolamento di Beppe Grillo. La pandemia ha fatto emergere la figura del capo del governo. E Conte, per formazione e cultura, si è mosso sulla stessa lunghezza d’onda del Pd. Il quale ha avuto il torto di “scartare” nei suoi confronti nell’autunno scorso, salvo poi ritornare a confermargli totale fiducia dopo lo strappo di Renzi.

Ritorno al mondo pre-2013

Enrico Letta ha confermato l’alleanza strategica con i Cinque stelle. Con ciò ha riportato definitivamente le lancette della politica al pre-2013 prefigurando una nuova competizione bipolare tra un vecchio centro-destra ossificato nei suoi protagonisti benché con rapporti di forza cambiati e un nuovo centro-sinistra imperniato sull’alleanza Pd-Cinque stelle.

Chi si trova in mezzo – da +Europa a Italia viva – dovrà scegliere da che parte stare. Anche perché prima o poi arriverà una nuova legge elettorale, e non sarà un sistema proporzionale senza alcuna soglia di sbarramento.

Il Pd ha rilanciato il sistema francese del doppio turno, in alternativa, sul tavolo, c’è il sistema tedesco , purché non sia una imitazione farlocca bensì, quello vero, con doppio voto (metà maggioritario e metà proporzionale di lista) e assegnazione dei seggi in base al voto proporzionale di lista con clausola di sbarramento al 5 per cento. In entrambi i metodi la frammentazione e le posizioni estreme vengono penalizzate, e nel caso francese si rendono palesi gli accordi tra i partiti prima del ballottaggio finale. Entrambi sono in linea con quanto serve al nostro paese.

È tempo che si ritorni a un minimo di razionalità, ed è anche tempo che vi si metta mano. Non perché le elezioni siano imminenti: da fine luglio non sarà più possibile votare fino all’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Ma se Mario Draghi salirà al Quirinale, nuove elezioni diventano altamente probabili.

Lo scontro elettorale riproporrà i due fronti di centro-destra e centro-sinistra con la prospettiva di una sana alternanza al governo.

L’eccezione grillina così come l’abbiamo conosciuta fino a due anni fa, sta rifluendo, in gran parte, in un alveo di centro-sinistra avendo archiviato la pulsione anti establishment e anti-politica degli anni ruggenti. Alle urne questa normalizzazione costerà cara a un partito che deve ancora riconfigurare la sua nuova identità.

Spazio per piccole formazioni corsare non ce ne sarà più. Forza Italia, come sempre, seguirà il suo dna di destra e rimarrà avvinta ai suoi alleati storici. Chi ha qualche dubbio confronti le posizioni politiche quell’elettorato forzista con quelle di Lega e Fratelli d’Italia da un lato e del Pd e Cinque stelle dall’altro, e vedrà da che parte batte il cuore dei berlusconiani.

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