Sgomberi forzati, intimidazioni, uso illegale della forza da parte della polizia contro abitazioni ed esercizi commerciali dei musulmani. Una violazione sistematica del diritto internazionale. Il monitoraggio di Amnesty International
La stampa di governo e i politici di destra la chiamano “la giustizia dei bulldozer”. È la politica in vigore da anni in India, e regolarmente monitorata da Amnesty International, di demolire sistematicamente abitazioni ed esercizi commerciali dei musulmani.
L’ultima ricerca, diffusa in questi giorni, si riferisce al 2022 e riguarda cinque stati: Assam, Gujarat, Madhya Pradesh e Uttar Pradesh, governati dal Bharatiya Janata del primo ministro Narendra Modi, e Delhi, governato dall’Aam Aadmi Party.
È stata una ricerca lunga e faticosa, su 63 delle 128 demolizioni avvenute nei cinque stati e delle quali si è avuta notizia. Sono stati intervistati oltre un centinaio di sopravvissuti, esperti di legge, giornalisti e leader di comunità. Oltre 617 persone, compresi bambini e anziani, sono rimaste senza dimora o private dei mezzi di sostentamento. Queste persone sono state sottoposte a sgomberi forzati, intimidazioni, uso illegale della forza da parte della polizia e punizioni arbitrarie e collettive, in violazione del diritto alla non discriminazione, a un alloggio adeguato e a un giusto processo.
Le demolizioni – spesso, con la scusa che si trattava di costruzioni illegali o di invasione di terreni – sono state eseguite senza rispettare alcuna delle procedure previste dalle leggi nazionali o dal diritto internazionale: assenza di consultazioni preventive e di un preavviso adeguato, mancata fornitura di un alloggio alternativo. In alcuni casi, gli edifici sono stati distrutti di notte e gli abitanti hanno avuto poco tempo – a volte, non ne hanno proprio avuto – per salvare i loro beni o ricorrere legalmente contro le ordinanze di demolizione.
Si è trattato, dunque, di sgomberi forzati, vietati dal diritto internazionale e dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali di cui l’India è stato parte.
In almeno 39 casi la polizia ha fatto ricorso a una forza non necessaria né proporzionata, dunque illegale, per far andare avanti le demolizioni o impedire alle persone di recuperare i loro beni. Almeno 14 abitanti hanno riferito di essere stati picchiati dagli agenti mentre esibivano i loro documenti e chiedevano perché le loro case venissero demolite. Gli agenti lanciavano insulti, sfondavano le porte a calci, trascinavano fuori le persone che opponevano resistenza e le picchiavano prima di costringerle a salire a bordo delle camionette.
Dalle ricerche di Amnesty International è emerso che le località individuate per le demolizioni erano quelle dov’erano concentrate le comunità musulmane e che, in aree diverse tra loro, sono state selezionate proprietà di persone di religione musulmana. Negli stati di Gujarat e Madhya Pradesh, le proprietà di persone di religione indù accanto a quelle demolite sono state lasciate intatte.
Spesso le demolizioni sono state istigate dalle più alte autorità di governo. In molti casi le autorità dei singoli stati hanno invocato, direttamente o indirettamente, l’uso dei bulldozer contro i musulmani. In questo modo, le demolizioni hanno finito per diventare una forma di punizione extragiudiziale. Gli organi di stampa hanno ribattezzato il primo ministro dello stato dell’Uttar Pradesh, Yogi Adityanath, “Nonno bulldozer”.
A proposito di bulldozer, Amnesty International chiama in causa l’azienda Jcb, che in almeno 33 casi di demolizione ha fornito propri macchinari. Esponenti politici e stampa di destra l’hanno così esaltata da averla rinominata Jihadi Control Board, Organo di controllo del jihad. Un portavoce della Jcb ha replicato che una volta che i suoi prodotti vengono venduti ai clienti l’azienda non ne ha più controllo né responsabilità.
Azioni giudiziarie
Al contrario, secondo le Linee guida delle Nazioni unite su imprese e diritti umani, la Jcb ha la responsabilità di rispettare i diritti umani, anche applicando la diligenza dovuta per identificare, prevenire e mitigare conseguenze negative per i diritti umani derivanti direttamente dalle sue attività, dai suoi prodotti e dai suoi servizi lungo tutta la catena di valore. Ciò è tanto più importante laddove vi siano prove che i prodotti di un’azienda sono usati in una regione dove c’è un elevato rischio o vi sono prove, disponibili pubblicamente, di un collegamento con violazioni dei diritti umani, come in India.
Un anno e mezzo dopo le demolizioni e le difficoltà economiche causate dalla perdita delle abitazioni e dei negozi, le vittime continuano ad attendere la giustizia: le azioni giudiziarie sono ancora in corso, chissà per quanto tempo andranno ancora avanti e chissà a cosa porteranno.
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