Mettete nel presepe un guerriero con la bandana verde e un tank con la stella di Davide: questo è il Natale della guerra ai bambini.

Bambini israeliani rapiti durante un pogrom, poi imprigionati sottoterra e sottoterra morti, e da morti prezzati come sul banco di una macelleria in attesa che si concluda l’affare (qual è il loro valore di scambio? Quanti detenuti per il corpo di un bambino di 4 anni?).

E in superfice, bambini palestinesi sporchi di polvere e di sangue, disperati come quello – avrà cinque o sei anni – che si batte le mani sulle tempie, seduto sul cumulo di calcinacci che forse è quanto resta di una casa, di una famiglia.
Bambini sempre terribilmente solitari, da morti e da vivi. Bambini invisibili al pubblico italiano, quotidiani e tg hanno il buon cuore di cancellarli dai notiziari, siamo un popolo impressionabile e non vedendoli viene più facile la commozione selettiva, chi per le vittime di Hamas e chi per le vittime dei bombardamenti, nei nostri codici tribali la vita di un bambino non ha un valore universale.

O beh, dirà qualcuno, cosa vi aspettavate? Non muoiono bambini in tutte le guerre? Qual è la novità? La novità è che a Gaza li si ammazza in una quantità che in proporzione non ha precedenti in questo secolo. Non accade, per esempio, nella guerra dell’Ucraina, dove pure la missilistica russa non si fa scrupoli di massacrare scolaretti: ma se le famiglie riescono a portarli nell’est, sono relativamente al sicuro. Nella Striscia di Gaza non c’è una via di scampo.

Per accontentare Washington da alcuni giorni l’esercito israeliano usa bombe meno devastanti e intima alla popolazione di lasciare le aree che saranno bombardate. Ma quegli ordini sono contraddittori, ambigui, confusi; le “zone sicure” in realtà non sono sicure; ed è rischioso mettersi in cammino per andare ad accamparsi sul confine con l’Egitto, lì dove, intenzionalmente o no, l’offensiva sta convogliando una popolazione alla fame.
Ad un bambino resta solo quello, la fame e la paura mentre aspetta che dal cielo il maglio si abbatta sulle case e su chi le abita.

Scommessa irragionevole

Non è soltanto una questione di numeri di uccisi o di violazioni del diritto internazionale in serie a rendere sconcio il massacro dei bambini: questa guerra è una scommessa irragionevole, un impeto malaccorto, un azzardo rabbioso, un calcolo sballato. In una parola, è una guerra stupida. E come tutte le guerre stupide, è difficile tenerla sotto controllo. Vive di una dinamica propria. Ed è questo che spaventa.

Per come si sono messe le cose ai due belligeranti conviene un allargamento del conflitto. Se fermassero le ostilità lascerebbero spazio alla diplomazia internazionale, tutta convergente sulla soluzione che entrambi aborrono, i due stati. E proprio mentre entrambi intravedono la possibilità di realizzare il loro progetto esistenziale, paradossalmente lo stesso: un unico stato dal Giordano al Mediterraneo, “from the river to the sea”. Se arabo o ebraico, la decidano le armi.

Inoltre un compromesso avrebbe esiti politici disastrosi sia per Hamas, in quel caso obbligata a lasciarsi disarmare dai suoi nemici dell’Olp, sia per il governo Netanyahu, che a quel punto dovrebbe rendere conto della morte di tanti ostaggi e del fallimento della propria strategia.

Il fiasco israeliano «è ogni giorno più chiaro», scrive uno studioso di guerre, Robert Pape, sul sito di Foreign Affairs. Secondo il polemologo dell’università di Chicago i commandos di Hamas, le brigate Qassam, finora hanno retto l’urto dell’offensiva israeliana.

Il loro apparato di propaganda è ancora in grado di disseminare 200 video a settimana attraverso il portale su Telegram, che adesso conta 620mila iscritti. Capace di liberare soltanto un ostaggio, l’esercito israeliano sostiene però di aver ucciso in due mesi 5000 guerriglieri. Fosse anche una stima attendibile, ed è lecito dubitarlo, ad Hamas ne restano 25mila, che alle brutte potrebbero disperdersi nel Sinai o diluirsi nella popolazione e diventare invisibili.

Infine, Netanyahu sta fabbricando più terroristi di quanti ne ammazzi, dato che per ogni civile morto «ci sono familiari e amici pronti a arruolarsi in Hamas per vendicarlo». Alla viglia della guerra i gazawi che riponevano fiducia in Hamas era il 27 per cento, grossomodo l’estensione della sua clientela: dopo l’invasione israeliana, sostiene Pape, sono triplicati.

Errori di calcolo 

I giornali italiani sostengono che non si può imputare a Netanyahu urbicidi e strage di civili, anche Churchill rase al suolo città tedesche.
È un paragone appropriato, i bombardamenti britannici del 1944 ebbero l’unico effetto di convincere la popolazione bombardata che se gli Alleati avessero vinto le avrebbero inflitto una vendetta spietata. Si vuole inoltre che Netanyahu non aveva alternative, doveva esercitare il diritto di Israele a difendersi.

Ma per eliminare Hamas, nota Pape, la strategia doveva essere tutt’altra: procedere con omicidi elettivi dei responsabili del pogrom e allo stesso tempo avviare un negoziato con i palestinesi che avrebbe isolato Hamas. E probabilmente l’avrebbe spaccata, stando al disagio segnalato da alcuni suoi vertici all’indomani del pogrom.

Il raid del 7 ottobre «è stato l’errore di calcolo più grave nella storia degli errori di calcolo», confidava all’attendibile David Hearst un “leader arabo” anonimo ma verosimilmente interno alla cupola di Hamas, dato che l’articolo apparso sul sito qatarino Middle East Eye è basato su quanto raccolto tra «gente informata del piano».

Doveva essere «una missione tattica per prendere in ostaggio al massimo due dozzine di militari», spiega la “gente informata”, «ma quando il confine tra Israele e Gaza collassò» accorsero altri guerrieri di Hamas e di diverse formazioni armate.
Sarebbe stata quest’orda spontanea e incontrollata a trasformare un’azione militare in un pogrom (senza peraltro che i comandanti di Hamas tentassero di fermarlo).

Crimine contro l’umanità

Sia andata o no così, questa versione pare celare una preoccupazione sulla quale sarebbe stato intelligente fare leva. Presto la Corte penale internazionale offrirà una classificazione del pogrom che non sarà priva di effetti pratici. La propaganda israeliana l’ha caricato di storie circa decine di lattanti decapitati, come se mitragliare un bimbetto non sia già di per sé un’infamia assoluta.

In molti paesi europei, Italia inclusa, l’informazione ha deciso che con quelle atrocità Hamas aveva varcato il confine oltre al quale i combattenti diventano “terroristi”, connotazione che suona assai blanda nel contesto arabo e anche in quello israeliano: il Likud di Netanyahu discende dai Begin e dagli Shamir, cioè l’Irgun e la banda Stern, formazioni che praticarono intensamente il terrorismo – impiccarono ostaggi (britannici), massacrarono il necessario per compiere “pulizie etniche” (strage di Deir Yassin e non solo), fecero saltare in aria uffici pubblici (bomba negli uffici del governatorato britannico a Gerusalemme, 98 morti, commemorata come un atto eroico nel sessantesimo anniversario, luglio 2006, dal premier Netanhyau e da vari ministri, indifferenti alle proteste di Londra).

Ma quella ferocia almeno era interna ad un rapporto razionale tra mezzi e fini. Il pogrom di Hamas non appartiene alla categoria di questi “crimini di guerra”, semmai esprime la malvagità e la viltà dei genocidi, e cioè è “crimine contro l’umanità”.

E come tale andrebbe perseguita dalla Corte penale internazionale, ha proposto saggiamente l’ong israeliana Physicians for Human Rights (concorda l’ex procuratore della Corte, Luis Moreno Ocampo). Se in futuro i guerrieri di Hamas portassero sulla fronte, sotto i versetti del Corano scritti sulle bandane verdi, il marchio di nemici dell’umanità, non avrebbero problemi a conservare il sostegno dall’Iran ma incontrerebbe difficoltà a trovare interlocutori perfino nel fondamentalismo sunnita.
L’ospitalità e i finanziamenti che offre oggi il Qatar sarebbero in forse. Tanto più perché adesso Roma, Berlino e Parigi propongono alla Ue sanzioni non solo contro Hamas ma anche contro chi le dà sostegno.

Piani da sventare

Ma intanto occorre fermare la guerra, esito che non è nella convenienza di Hamas né del governo Netanyahu.
È ancora possibile sventare i loro piani? Ammesso che non sia troppo tardi sarebbe utile correre in soccorso di chi, nei due campi, tenta di arginare quei fanatismi guerrieri.

Come ha dimostrato il pogrom, demonizzando l’ebreo Hamas ha offerto al male tutti i pretesti possibili. Ma radicare nel razzismo la reazione alla violenza israeliana è una pulsione cui non sfugge neppure parte dell’Olp. Per decenni gli europei hanno finto di non vederla, adesso che sanno dove conduca sarebbe saggio farne una discriminante nella distribuzione degli aiuti ai palestinesi (1,17 miliardi di euro nel periodo 2021-2024, fondi in via di riesame) per favorire la crescita di una leadership nuova.

Allo stesso tempo andrebbe concretamente aiutato chi in Israele, come il giornale Ha’aretz, si trova ad affrontare da solo l’ostracismo del governo, cui bisognerebbe finalmente prospettare e applicare sanzioni se continuasse con le sue politiche annessioniste.

Che altro? Sarà pure di nessuna utilità, ma a noi anime belle sarebbe di consolazione vedere per una volta in Italia un corteo che marciasse dietro le immagini due bambini morti in questa guerra, uno israeliano e uno palestinese. Così, magari solo per illuderci che nell’era che viene la santità dei bambini sia ancora un valore.

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