Con lo slogan “Svegliare il Leone”, il costruttore Francesco G. Caltagirone e l'industriale Leonardo Del Vecchio volevano conquistare le Generali, ma il Leone, ben sveglio, li ha respinti con una zampata; l'assemblea telematica (ma quando torneremo anche noi in presenza?) è finita 56-42 per cento. Come previsto dagli aruspici, Philippe Donnet resta capo azienda; il consiglio d'amministrazione (CdA) sarà di tredici persone, dieci provenienti dalla “Lista del CdA”, sostenuta dagli investitori esteri. Gli assedianti avranno tre posti in CdA.

Resta fuori, col 2 per cento, la lista di Assogestioni, che proponeva Roberto Perotti; incerta come l'asino di Buridano sulla lista da sostenere, ne ha presentato una terza, facendo futilmente bocciare un valido membro del CdA uscente.

La contesa esaspera, come uno specchio deformante, i vizi del nostro sistema. All'estero si farà folclore sul confronto fra due idee, diverse ma non troppo, dei rapporti fra impresa, azionisti e mercato. Mediobanca ha in passato bloccato lo sviluppo di Generali, per sfuggire al dilemma se sborsar soldi per aumentare il capitale, o calare di quota; essa somiglia troppo a una scatola di controllo di Generali, ma Donnet ha ben gestito, evitando improprie commistioni coi soci forti, tutti.

Caltagirone, e da ultimo Del Vecchio, hanno della gestione aziendale un'idea feudal-dinastica; per questo al di là di una cerchia di imprenditori vicini, han raccolto solo il 3 per cento dei voti.

Gli sconfitti entrano in CdA grazie al voto di lista, efficace mezzo di tutela legale delle minoranze; chi non ama tale presidio ne trarrà argomenti per cercare di scalfirlo. Speriamo che non sia una vittima collaterale della lite.

Fra le due parti, entrambe condizionate da complesse reti di relazioni, ha vinto la meno chiusa. Si teme ora una convivenza aspra, dato che i due imprenditori, non abituati a perdere, han conti da regolare; sapranno, tutti, perseguire l'interesse della compagnia, senza vendette e duri contenziosi?

Come ha qui scritto Alessandro Penati, il futuro italiano non dipende da Generali, nemmeno più da Mediobanca, dove i coriacei sconfitti potrebbero trasferire la lotta. Essi hanno in totale il 25 per cento della banca, ma la Banca centrale europea ha autorizzato Del Vecchio a sfiorare il 20 per cento purché eviti di influenzarne la gestione; meglio non assalire lo Stato Maggiore.

Se gli sconfitti vorranno la rivincita, rischiano di vedersi alla fine assegnato mezzo cadaverino, come le madri del giudizio di Re Salomone.

Si spera che scelgano la via giusta per “valorizzare”, verbo dai molti significati, i soldi investiti fra Milano e Trieste. La contesa mostra l'incapacità di lavorare assieme in vista di mete condivise; è un apologo sui limiti di una classe dirigente al tramonto, con la vista troppo corta, ma la memoria elefantiaca.

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