Il recente ottovolante del prezzo del bitcoin ha rianimato il dibattito su criptomonete e valute digitali. Anche se molti pensano che si tratti di questioni che interessano solo speculatori e criminali del dark web, è in corso una ricomposizione del sistema dei pagamenti gravida di conseguenze. Già in precedenza si osservava una tendenza del predominio del contante a ridursi (nella zona euro a fine 2019 circa il 73 per cento delle transazioni avvenivano in contante; ma erano il 79 per cento solo tre anni prima).

Il boom degli acquisti on line e dei pagamenti con carta di credito causato dalla pandemia ha accelerato la tendenza. La smaterializzazione delle transazioni avviene in un contesto in cui la proliferazione di criptovalute decentralizzate rappresenta una minaccia, sia pure non immediata, per il monopolio delle banche centrali nell’emissione di valuta.

Le criptovalute non sono (ancora) moneta

Fin dai tempi di John Maynard Keynes si insegna agli studenti di economia che la valuta è detenuta per effettuare transazioni oppure come riserva di valore, un safe asset per proteggersi dalle turbolenze dei mercati.  Le criptovalute oggi non sono una riserva di valore sicura, né un affidabile mezzo di scambio (il loro prezzo è troppo volatile). Non soddisfano insomma alcuno dei criteri necessari per essere definiti “moneta”.

Tuttavia, è solo questione di tempo prima che, in una forma o in un’altra, emerga un sistema di pagamenti digitale che sia sufficientemente stabile, a buon mercato e sicuro da far concorrenza alle valute sovrane come l’euro o il dollaro. Quando questo accadrà, da un lato sarà difficile condurre le politiche macroeconomiche necessarie a sostenere l’economia (per esempio tramite iniezioni di liquidità a sostegno di governi e imprese, come avviene con il quantitative easing); dall’altro lato, aumenterà il rischio di instabilità finanziaria.

È opportuno rammentare che la nascita delle banche centrali, istituzioni dotate per legge del monopolio dell’emissione di moneta legale, rispondeva proprio all’esigenza di stabilizzare un sistema in cui la proliferazione di mezzi di pagamento privati (il credito) necessitava (e necessita tuttora) di un prestatore di ultima istanza capace di fornire mezzi di pagamento virtualmente illimitati a istituzioni finanziarie in difficoltà.

L’avvento delle criptovalute rischia di farci entrare in un mondo in cui è indifferente se le transazioni avvengono in dollari, euro, renminbi o bitcoin. A quel punto le banche centrali perderebbero ogni possibilità di utilizzare la leva monetaria e di agire da prestatore di ultima istanza.

Come evitare l’irrilevanza delle banche centrali

Proprio per non trovarsi sorpassate dagli eventi, molte banche centrali riflettono alla creazione valute digitali. Si tratterebbe in pratica di “contante digitale” da caricare su una carta o su di una app. Come il contante oggi, questo avrebbe corso legale e sarebbe universalmente accettato. I paesi che più seriamente ne considerano l’introduzione sono la Svezia e la Cina, che ha anche cominciato a testarlo in qualche grande città. Da noi la Bce ha lanciato di recente un processo di consultazione pubblico, ma siamo ancora molto lontani da una proposta operativa.

La creazione di valute digitali da parte delle banche centrali consentirebbe di risolvere i problemi e le inefficienze legate ai pagamenti con il contante e resistere così all’offensiva delle criptovalute, mantenendo il controllo sulla creazione di moneta da parte della banca centrale e contrastando il rischio di una “privatizzazione della moneta”.

Ricordiamo che giganti del web, grandi oligopoli come Facebook, Amazon e Google riflettono alla creazione delle loro valute, che magari legherebbero all’utilizzo dei propri servizi, “catturando” i consumatori. Il rischio di un mercato delle valute elettroniche dominato da pochi grandi attori è reale. Essi formerebbero di fatto un oligopolio della creazione di moneta e dei sistemi di pagamento (le piccole banche avrebbero difficoltà a sopravvivere), accaparrandosi rendite di posizione. Ma i vantaggi di una valuta digitale non si fermerebbero qui. Essa consentirebbe di far accedere ai pagamenti elettronici quella parte della popolazione che non ha accesso ai servizi bancari, aumentando così l’inclusione finanziaria.

Questo è un vantaggio importante in economie avanzate come la zona euro, e ancora di più per paesi emergenti e in via di sviluppo. Infine, l’introduzione di una valuta digitale consentirebbe di ridurre il potere di mercato delle banche in un settore che è poco concorrenziale, riducendo i costi per imprese e consumatori.

Un’evoluzione ineludibile

Tuttavia, la creazione di valute digitali richiede complesse valutazioni di costi e benefici che si intrecciano con aspetti tecnici di difficile soluzione. In primo luogo, la banca centrale dovrebbe decidere se emettere la propria moneta digitale trasferendola direttamente a imprese e consumatori senza ricorrere ad intermediari come le banche commerciali.

Questo consentirebbe di mantenere il pieno controllo sulla circolazione della valuta, ma richiederebbe la creazione di conti correnti per i quali far transitare il contante digitale emesso. La banca centrale dovrebbe quindi sottostare a tutti gli obblighi regolamentari e legali cui sono sottoposti gli istituti di credito commerciali, dal rispetto delle normative antiriciclaggio alla necessità di creare piattaforme per la gestione delle app o dei portafogli elettronici. Sono tutti adempimenti per cui le banche centrali non hanno le competenze, che andrebbero costruite dal nulla. Ma il vero rischio di una valuta digitale accentrata è che, pensata per garantire sicurezza e stabilità nei pagamenti, faccia concorrenza al sistema creditizio finendo per agire da fattore destabilizzante soprattutto (ma non solo) quando sui mercati finanziari regna l’incertezza.

Una valuta digitale sarebbe un safe asset che, contrariamente al contante fisico, potrebbe potenzialmente essere detenuto in grandi volumi e senza alcun costo. In momenti di crisi si potrebbe quindi assistere a “fughe di capitali” dai depositi bancari verso la valuta digitale.

Per questo le banche centrali vanno ovunque con i piedi di piombo: le valute digitali devono essere progettate accuratamente per incentivarne l’uso come mezzi di pagamento ma non come investimenti (ad esempio con massimali sui conti individuali o tassi d’interesse negativi oltre una certa soglia). Sembra tuttavia inevitabile che prima o poi si approdi alla creazione di questi strumenti: è troppo elevato il rischio che valute private o criptomonete vengano a riempire il vuoto lasciato dal contante.

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