Ora tutti scoprono Alessandra Todde, nuova presidente della regione Sardegna. E vedono il suo bel curriculum fatto di esperienze di lavoro di alto livello all’estero prima di rientrare. Caso raro, in Italia, di un cervello di fuga che torna nella sua terra natale. E si impegna politicamente, guarda caso nei Cinque stelle. Bisogna partire da qui per riavvolgere il film farlocco che riguarda questo partito. La non conoscenza, i pregiudizi, le idiosincrasie che i 5 stelle e suoi leader hanno suscitato potrebbero finalmente diradarsi.

Le ironie sulla visionarietà di Gianroberto Casaleggio lasciavano interdetti perché ignoravano quanto, in quelle riflessioni, ci fosse la ricerca di un mondo migliore, alternativo a quello attuale. Per questo attraeva giovani, inevitabilmente in cerca di futuro, rapiti da quel nuovo mondo digitale cantato dal grillismo delle origini. E non stupisce che al loro apparire i Cinque stelle, nelle regioni in cui si erano presentati, raccogliessero persone con alto livello di istruzione. Una attenta ricerca condotta dopo il primo, relativo, successo alle regionali emiliano-romagnole del 2010 dimostrava che i voti grillini si erano concentrati lungo la via Emilia e soprattutto nei distretti ad alto livello di innovazione.

Non per nulla, nella legislatura 2018-2022 il partito con il maggior numero di laureati era il pentastellato. E la distanza dagli altri partiti aumentava ancora di più se si consideravano le lauree in materie scientifiche. Si è preferito irridere la pochezza di quegli eletti usciti dal caso per il grande successo elettorale senza prendere in considerazione gli altri. Che ci fossero docenti universitari e persone con brillanti curriculum professionali non veniva nemmeno considerato. Era più semplice stigmatizzare Luigi Di Maio come giovane venditore di bibite allo stadio.

L’irruzione di Beppe Grillo non parlava solo di vaffa verso una classe politica inetta e corrotta: parlava anche a coloro che volevano un nuovo modo di far politica come avevano richiesto anche tanti altri movimenti da Marco Pannella a Mario Segni, per citare soltanto qualche nome. L’invocazione di aprire il parlamento come una scatoletta di tonno rifletteva la volontà di dare aria e fare pulizia in quella istituzione, illuminare gli angoli oscuri e opachi. Eppure questo ovvio significato è stato travisato come un proposito golpista. Impressionante la malafede di tanti commentatori.

La mutazione grillina da partito delle cinque stelle, libertario-ecologista e proiettato verso il futuro lungo le nuove tecnologie, a ricettacolo di umori antipolitici e populisti gli ha consentito di raccogliere un terzo dell’elettorato nel 2018. Se allora fosse stato preso per mano, con accortezza, dal Pd, invece di lasciarlo andare per la deriva populista-leghista, avremmo visto da subito un altro film. Il Pd ha rimediato, male, con il Conte II.

Comunque il M5s è diventato, grazie alla pandemia, un altro partito. In quel frangente il M5s trova un nuovo leader e si libera di quella zavorra complottista e antiscientifica che il suo ribellismo a 360 gradi aveva attratto. Questa depurazione ha consentito a figure con un curriculum brillante come Pisano, Appendino, e ora Todde – tutte donne – di svettare.

Ma se nel M5s cresce la consapevolezza di essere un partito a tutto tondo, senza complessi di inferiorità, aumenta anche la propensione a dettare la linea, o, quanto meno, a contrattare da pari a pari ogni punto di un programma comune. Il successo in Sardegna porta con sé tanto l’opportunità di una intesa strutturale – anche Calenda ha ammesso che solo uniti si vince – quanto il rischio di una conflittualità più aspra per la leadership della coalizione.

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