In Italia le disuguaglianze sono in aumento. E il 5 per cento più ricco paga meno tasse, in proporzione al reddito, del restante 95 per cento. La patrimoniale è su di loro, una minoranza di ultraricchi che finora è stata favorita: e va a vantaggio di tutti gli altri.

Peraltro il debito pubblico è in crescita e non abbiamo risorse per garantire i diritti, a partire dalla sanità, e una pubblica amministrazione che sia di aiuto ai cittadini e alle impese (da noi è sottodimensionata e sottopagata, fra le cause del declino).

Non solo, gli investimenti nella scuola, nell’università, nella ricerca e sviluppo in Italia sono i più bassi di tutto il mondo avanzato, in rapporto al Pil (l’altra causa fondamentale del declino). Di fronte a questa situazione, il vero populismo è quello di chi continua a ripetere, mentendo, che la patrimoniale colpisce il ceto medio: è vero esattamente il contrario.

Lasciamo da parte gli immobili, che già pagano dalla seconda casa in poi. Un discorso andrebbe fatto anche lì, di riordino del catasto come base di una tassazione più equa (di nuovo, a vantaggio dei redditi medio-bassi) e di progressività delle imposte sui redditi da locazione (di nuovo, colpendo la rendita e gli ultraricchi, mica il ceto medio).

Ricchezza finanziaria

Ma facciamo le cose semplici: guardiamo alla sola ricchezza finanziaria. Una patrimoniale dovrebbe concentrarsi su chi ha più di 150mila euro sul conto corrente o in titoli, escludendo tutti gli altri: appunto, all’incirca il 5 per cento della popolazione. Si pensi, d’altra parte, che ben il 77 per cento degli italiani ha sul conto corrente meno di 12.500 euro, cioè meno di un decimo di questa soglia (e qui il valore in titoli è minimo).

Secondo le stime della Banca d’Italia, in totale gli italiani hanno una ricchezza di 11mila miliardi: 5.700 in immobili e terreni, 5.300 finanziaria. Quasi la metà (46 per cento) è posseduta dal 5 per cento più ricco, ma in questo caso solo un terzo è costituito da abitazioni e terreni. Detta altrimenti: la sola ricchezza finanziaria del 5 per cento più ricco supera i 3mila miliardi. Una semplice aliquota dell’1 per cento darebbe un gettito di 30 miliardi, prelevando da queste persone una modesta cifra, per loro, che non cambia in sostanza nulla nella loro vita.

Naturalmente le aliquote si potrebbero calibrare, rendendole via via più progressive, recuperando decine di miliardi in più, secondo un elementare criterio di equità (e anche di "utilità”, di benessere).

Questi miliardi potrebbero essere messi sulla sanità e la scuola, l’università e la ricerca, per il riassetto del nostro territorio, così fragile, per adeguare l’amministrazione alle enormi sfide che abbiamo davanti. Per beni pubblici, insomma: a vantaggio di tutti.

L’Italia diventerebbe un altro paese: più equo, più solidale, più efficiente, crescerebbe anche di più e meglio, finalmente. Del resto, quali sono le alternative, dovremmo alzare le tasse al ceto medio? Il nuovo Patto di stabilità impone di tagliare il debito. E sulle pensioni siamo già intervenuti. Dobbiamo allora continuare a depauperare la sanità, la scuola, la ricerca e l’università, l’amministrazione, il welfare? Diventando ancora più poveri e disfunzionali, per finire sempre più in declino?

Quanto al perdere le elezioni, ebbene: è una misura che va al vantaggio del 95 per cento degli elettori, a scapito di una ridotta minoranza di ultraricchi, che peraltro ha già avuto molto e ha dato meno degli altri. Se la politica, specie di sinistra, non ha il coraggio o la forza di spiegare una misura così semplice, e così equa, così necessaria, agli italiani, traete voi le conclusioni.

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