A guardare da lontano la politica italiana sembra che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sia inviso alla maggior parte degli italiani mentre i leader dei partiti di governo godano di grandissimo credito.  E per questo si sentono tranquilli nell’affannarsi a rimuovere  da Palazzo Chigi il suo attuale inquilino.

Certamente è nel loro pieno diritto sostituire chi guida l’ esecutivo perché sono i partiti che danno le carte.  Ma c’è un piccolo particolare che si sottovaluta: il livello di popolarità del capo del governo e, corrispettivamente, quello dei segretari delle forze politiche che lo sostengono.

Il differenziale registrato dai vari sondaggi è abissale. L’ultima rilevazione di metà dicembre, effettuata dall’Ipsos, colloca Conte al 57 per cento dei consensi: un dato in crescita, e per la prima superiore a quello assegnato al governo nel suo complesso.

Dopo di lui il vuoto, con una sola significativa eccezione, il ministro della Salute e leader di Liberi e Uguali, Roberto Speranza, primo per popolarità tra tutti i politici italiani – e, guarda caso, quello più in sintonia con il premier.

Sia Luigi Di Maio che Nicola Zingaretti nuotano a metà classifica, e Renzi è addirittura all’ultimo posto con un misero 11 per cento.

Se questo è l’umore dell’opinione pubblica c’è da chiedersi come ne usciranno i partiti che spingeranno alla porta il più apprezzato dei politici italiani. 

Ma perché Conte è sugli altari e gli altri giacciono sul pavimento o addirittura sprofondano negli scantinati?  La risposta si trova in un mix di tratti personali, circostanze fortuite e  fattori strutturali. Partiamo da questi ultimi.

Conte non è percepito come un esponente di partito: è considerato estraneo, se non super partes. E quindi, dato che i partiti italiani sono costantemente  apprezzati da meno del 10 per cento della popolazione, il non essere identificato con un partito diventa un elemento di pregio, una sorta di virtù. Quindi Conte brilla di luce riflessa, “in negativo”, dal  discredito dei partiti.

In secondo luogo si sottovalutano alcune caratteristiche personali che lo distinguono da gran parte dei politici e dei tecnici che si sono affacciati sulla scena politica: la pacatezza e un eloquio tranquillo e ragionato; l’assenza di arroganza e supponenza, un tratto elegante e distinto.

Tutti aspetti che si collocano sul pericoloso crinale dell’ affettazione e del paternalismo, ma che hanno il vantaggio di andare incontro ad un desiderio di medietà e di affidabilità che circola da sempre in larga parte dell’opinione pubblica.

Queste caratteristiche hanno proiettato una immagine rassicurante, sicura senza essere assertiva o autoritaria, durante la pandemia. Questa è la circostanza fortuita che ha rafforzato il premier.

I suoi interventi rincuoranti, sostenuti  da una dose misurata di ottimismo e senza toni gridati (salvo quando polemizzò duramente con Matteo Salvini in occasione del Dpcm di aprile) sono stati accolti come un lenitivo nella fase critica della primavera.

Quindi, la combinazione tra estraneità ai partiti (squalificati) e profilo personale pacato e rassicurante in una situazione di fortissimo stress emotivo, portano oggi Conte a vette inusuali di consenso per un capo di governo.  

Estrometterlo in malo modo da Palazzo Chigi rischia di provocare un contraccolpo  doloroso ai partiti e alla stessa fiducia nelle istituzioni. Perché le opinioni dei cittadini viaggiano su binari diversi da quelli su cui si muovono, e si agitano, i palazzi romani. Che i partiti non lo comprendano è molto, molto preoccupante. E’ un ulteriore segno della loro difficoltà a leggere la società.

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