Dunque, nelle pericolose relazioni tra Covid-19 e democrazia com’è che è andata a finire? Ripetiamo l’antefatto: giovedì alle ore 15 S, insegnante, si recava dal suo medico di base per fare il test sierologico. Il senso civico glielo imponeva. S risultava debolmente positivo e per precauzione si quarantenava a casa sua.

Il giorno seguente, venerdì mattina, alle ore 9, riceveva dall’Asl la convocazione per effettuare sabato mattina, sulla sua automobile, il tampone al drive in. Sempre venerdì, in tarda mattinata, S telefonava all’ufficio elettorale per chiedere come votare essendo a casa in isolamento; riceveva questa risposta: Per avere diritto al voto a domicilio occorre avere il certificato dell’Asl. Per questo motivo, appena messo giù il telefono, lo riprendeva in mano per telefonare al dipartimento di sanità pubblica per chiedere come ottenere il certificato che le sarebbe servito per votare a domicilio. Il dipartimento di sanità pubblica dice a S che è la prima a contattarli ponendo questo quesito, e menzionano una circolare che indica un sito su cui fare questa richiesta. S si collega al sito, trova il modulo per ricevere la certificazione per votare a domicilio e lo invia online all’Asl.

Sempre venerdì, ma siamo ormai verso sera, sono le 18 e 30 circa, S riceve una telefonata dall’Asl che la informa che non possono rilasciarle il certificato perché non rientra nei casi previsti per il suddetto rilascio (per esempio non era rientrata dalla Sardegna e non era rientrata da altre nazioni estere considerate a rischio, era semplicemente andata dal suo medico di base). L’impiegata riconosce che S è in un limbo strano e le dice che non ci sono soluzioni, salvo sperare che l’esito del tampone sia negativo e che arrivi lunedì, entro l’orario di chiusura dei seggi.

Sabato pomeriggio: isolata in casa sua, via telefono, S cerca da tutte le persone che conosce (siamo in una città abbastanza piccola) il numero di telefono personale del sindaco per esporgli personalmente tutta la sua indignazione per la possibile violazione del suo sacrosanto diritto di votare. Fortunatamente non trova il numero personale di telefono del sindaco e non può telefonargli. Stranamente non cerca il numero di telefono del prefetto. Il malumore di S continua.

Domenica sera, ore 20 e 30 circa: sentendo il racconto del caso di S, e della sua indignazione di non aver ancora capito se potrà votare o no, A, che da vari giorni dice agli amici che non andrà a votare, perché è una questione che non riesce minimamente a interessarlo, dice: va be’, se S non riesce a votare, basta che mi dica che cosa voleva votare, vado a votare io al suo posto, che non me ne fregava niente di andarci, così io voto per lei e lei sta a casa per me, e la somma totale non cambia. E questa effettivamente mi sembrava una buona soluzione.

Ma adesso è tempo che arriviamo a lunedì: ore 7 e 15, S si alza, fa colazione e traffica in casa nell’attesa di qualche notizia, ma tutto tace. Ore 8 e 35, finalmente arriva l’esito del tampone dall’Asl, forse un team di biologi molecolari democratici, che ancora credono nell’importanza di qualsiasi voto, si è impegnato a processare più tamponi possibili in poco tempo (ma manteniamo ancora per una riga la suspence: se il tampone fosse positivo non ci sarebbe niente da fare). E invece no, tampone negativo. Ancora una volta la democrazia ce l’ha fatta e S riuscirà, verso le 12 e 40, a recarsi al suo seggio e esprimere il suo voto. Evviva.

© Riproduzione riservata