Per molti anni, dopo il terremoto di Mani Pulite, i partiti politici sono stati demonizzati come responsabili di tutti i mali. Tanto forte è stato il discredito manifestato per l’emergere della corruzione, e l’insofferenza per come i partiti si erano strutturati, da sfociare dopo più di un decennio in un urlo antipolitico: già in quel periodo maturavano le condizioni del grillismo. Ma chi allora espresse quel sentimento antipartitico fu Silvio Berlusconi.

Non per nulla al suo apparire Forza Italia si autodefiniva un movimento politico e disdegnava la definizione di partito. Dovette subire una serie di rovesci elettorali per addivenire alla costruzione, nel 1998, di una vera e propria organizzazione partitica. E ora, tra qualche settimana, Forza Italia, dopo vent’anni precisi, celebrerà un altro congresso, il terzo della sua ormai lunga storia.

Se anche il più insofferente ai riti della politica tradizionale riattiva le dinamiche proprie delle competizioni interne per definire strategie ed alleanze, ed eleggere i dirigenti, allora vuol dire che i partiti in quanto tali dimostrano una grande resilienza rispetto alla valanga di critiche che ricevono. E non è solo Forza Italia che si rivitalizza.

A destra sia la Lega che (persino) Fratelli d’Italia segnalano una effervescenza interna. Quanto avviene all’interno del Carroccio non rappresenta però una novità.

Turbolenze

Da sempre la Lega si è mossa lungo la tradizione del partito di massa, con un tesseramento sorvegliato, una distinzione tra semplici iscritti e militanti, depositari di diritti diversi, strutture periferiche in grado di mobilitarsi, elezioni di organi dirigenti locali e nazionali dal basso all’alto, e infine una vivace dialettica interna. Nella Lega si discute, si litiga e si vota.

Non che regni una democrazia perfetta, tutt‘altro. Il pugno di ferro della leadership, a base di commissariamenti di federazioni riottose, deferimento ai probiviri, ed espulsioni di oppositori tenaci, cala di frequente. Ma fa parte del gioco.

Sono tuttavia manifestazioni dell’esistenza di un corpo politico che si ritrova e si identifica in quella struttura. Anche FdI, come scriveva Giulia Merlo su queste pagine, mostra segni di turbolenza. Dopo l’euforia per il successo elettorale riaffiora una vita politica interna irrequieta, seguendo, anche in questo, le radici missine.

A dispetto delle sue origini autoritarie il Movimento sociale era tutt’altro che un partito dominato dal leader: nelle sue sezioni si discuteva animatamente e i suoi congressi erano particolarmente vivaci, per usare eufemismo.

La conflittualità interna

In questi giorni, nonostante il gran numero di posizioni a disposizione dei militanti e dei dirigenti locali, o forse proprio per questo, nel partito di Meloni aumenta la conflittualità interna. Siamo di fronte ad una sorta di paradosso.

Mentre il M5S fluttua alla ricerca di un suo assetto interno e il Pd rimane nel limbo della sua autodefinizione di partito di iscritti ed elettori, il versante di destra incarna, oggi, una visione più tradizionale della vita partitica. Forse la sinistra è più innovativa, ma la destra appare più concreta. E indica che i partiti sono ancora una realtà corposa.

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