Sono passati quasi 50 anni, ma c’è un punto politico che collega la sconfitta del centrosinistra in Molise con il 1977, quando il Partito comunista ebbe una flessione in un voto amministrativo a Castellamare di Stabia.

Pochi giorni fa Antonio Bassolino, all’epoca segretario regionale in Campania, mi ha ricordato come dopo quella sconfitta in tutto il partito, compresi il comitato centrale e la direzione nazionale, iniziò un mese di dibattiti, con discussioni, analisi e un suo articolo di ben nove pagine su Rinascita. L’oggetto era il significato politico del risultato in un comune tutto sommato piccolo, così come era piccolo il numero dei votanti in Molise. Ma, allora come ora, bisognava capire in che misura la sconfitta era dovuta a fattori locali o alla strategia nazionale del partito.

In quel tempo la riflessione politica era abituale non solo nel Pci, ma anche nella Dc, nel Psi e nel Pri. Oggi quel modo di fare politica è stato dimenticato. Nel Partito democratico sconfitte anche pesanti hanno lasciato ben poca traccia nella direzione e nell’assemblea. Appena eletta Elly Schlein aveva annunciato una profonda riflessione sulla natura del partito. Era una buona idea ma, finora, non se ne è fatto nulla.

Adesso, la sconfitta in Molise offre al Pd la possibilità di analizzare una crisi che non è solo locale, ma è l’ultimo segno di un male che dal 2008 a oggi ha portato metà dei suoi elettori, sei milioni di voti, ad abbandonarlo rifugiandosi nell’astensione o rivolgendosi altrove.

Gli scontri interni

In tutte le democrazie occidentali la sinistra stenta a capire come affrontare i grandi cambiamenti del nostro tempo. Ma in Italia, c’è qualcosa di più. Il Pd, da almeno due decenni, troppo spesso ha peccato di tatticismo, di individualismo e persino di frazionismo. Le tante sconfitte elettorali e le stesse scissioni di Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi, non sono mai state analizzate a fondo.

Dopo il Molise il Pd commetterebbe il suo errore finale se, invece di analizzare seriamente il voto, aprisse uno scontro interno o mettesse in discussione la segreteria dopo soli cento giorni dall’elezione. Il risultato del Molise deve richiamare l’intero gruppo dirigente del Pd, di cui anch’io condivido molte responsabilità, a rileggere la propria storia, le oscillazioni politiche, le iniziative sbagliate, le omissioni, le unanimità di facciata. In un partito come il Pd, nato per governare l’Italia, la riflessione non può esaurirsi ricordando il dovere della governabilità, ma deve saper trasformare l’analisi delle proprie debolezze nel punto di partenza della rifondazione.

Parafrasando Aldo Tortorella, si potrebbe dire che il Pd è rimasto vittima delle sue stesse macchinazioni. Com’è stato possibile?

Giorgia Meloni governa senza avere la maggioranza dei consensi grazie a una legge elettorale voluta dal Pd. Matteo Salvini sta cercando di spaccare l’Italia usando le modifiche alla Costituzione che il Pd ha voluto più per tattica che per convinzione. Il parlamento è stato umiliato con la riduzione di un terzo dei suoi componenti voluta dai Cinque stelle, ma che anche il Pd ha votato in cambio di un’alleanza che molti elettori non hanno capito. Il declino dei partiti è dovuto anche al decreto legge con cui il Pd ha tolto il finanziamento pubblico.

La condizione dei gruppi parlamentari del Pd ha a che fare con le liste bloccate e, ancor di più, con le candidature volute dai suoi segretari.

Come per le persone, anche per un partito politico il passato pesa molto. Se il Pd non ne tenesse conto, il suo futuro sarebbe compromesso.

Lo statuto del partito

Aggiungo che a Elly Schlein gioverebbe una riflessione sulle circostanze che l’hanno portata alla guida del Pd. La sua è stata un’elezione legittima, ma modificare lo statuto pochi giorni prima delle primarie per consentire alla nuova segretaria di iscriversi, è stata una manovra di palazzo che, dal suo punto di vista, potrebbe spiegare come mai nessuno l’ha vista arrivare. Schlein dovrebbe chiedere di modificare lo statuto per impedire che nei 12 mesi prima di un voto vengano cambiate le norme che lo regolano.

Schlein invita spesso i suoi colleghi del Pd a mettersi comodi mentre lei governa il partito. Non è una espressione cortese, ma in politica qualche volta un po’ di scortesia ci sta. Detta da lei è però una frase imprudente. Perché per ora è lei che dovrebbe mettersi comoda per meglio analizzare le sconfitte del partito di cui è, legittimamente, segretaria.

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