In uno scenario internazionale dove la preoccupazione per la guerra in Ucraina, l'inflazione e l'aumento dei prezzi energetici ha preso il posto di quella per la pandemia, si deve guardare alle città per capire se il mondo è ancora incamminato sulla strada degli impegni per fermare i cambiamenti climatici.

In questo senso la conferenza dei Sindaci sul Clima, il C40 che si è svolto negli scorsi giorni a Buenos Aires, è un ottimo punto di osservazione perché il network che coinvolge città con almeno tre milioni di abitanti è diventato un appuntamento internazionale importante che ogni tre anni riunisce sindaci di tutto il mondo mettendo a confronto idee e progetti.

La svolta delle città

Di sicuro non è un club per primi cittadini perditempo, visto che per farne parte occorre rispettare paletti molto precisi in termini di monitoraggio delle emissioni, piani e progetti in linea con impegni dell’accordo di Parigi e sono diverse le città già accompagnate alla porta in questi anni, come Mosca e Il Cairo.

I vantaggi sono nella possibilità di condividere progetti che tengono assieme la sfida della decarbonizzazione con il rafforzamento del tessuto sociale nei territori coinvolti, oltre che nell’opportunità di accedere al supporto tecnico e finanziario per progetti innovativi che ha permesso di portare avanti molti interventi significativi di resilienza climatica e sviluppo delle rinnovabili in città africane, sudamericane e asiatiche.

La conferenza di Buenos Aires ha aiutato a lenire, almeno per qualche giorno, la sensazione di solitudine che soffrono le città nel portare avanti l’agenda internazionale sul clima e nel fare i conti con impatti sempre più devastanti di alluvioni, siccità e ondate di calore.

Si fa un gran parlare di quanto le aree urbano pesino nella produzione di emissioni, di quanto siano strategiche nella individuazione di soluzioni replicabili ma poi sono lasciate quasi sempre sole e con scarse risorse ad affrontare i problemi. E questo vale ancora di più oggi che l'aumento dei prezzi energetici produce effetti sociali spesso drammatici per chi vive nelle periferie urbane e incide pesantemente sui bilanci delle municipalità. 

I ritardi negli impegni in termini di risorse per investimenti di adattamento e mitigazione nei paesi più poveri – 100 miliardi di euro all’anno entro il 2020 come stabilito nella Conferenza sul clima di Copenaghen del 2009 - è nelle grandi megalopoli che pesano di più.

In questi anni sono state enormi le conseguenze di inondazioni e cicloni ma ancora si aspetta il supporto tecnico e finanziario necessario a rendere più resilienti quartieri e spazi urbani.

Gli esempi virtuosi

Eppure, le soluzioni le conosciamo come i progetti premiati durante la conferenza realizzati a Guadalajara e Dhaka dove si dimostra come si possono ridurre gli impatti di piogge violente e recuperare acqua per i fabbisogni delle famiglie. Come le potenzialità enormi che esistono di autoproduzione e condivisione dell’energia solare in tante aree del mondo che purtroppo rimangono sulla carta per l’assenza di finanziamenti ad interventi che, oltretutto, sono quelli non solo più veloci da realizzare e capaci di ridurre la spesa energetica, ma che lo farebbero in modo strutturale.

Le città europee sono di sicuro le più ambiziose in termini di impegni per la decarbonizzazione – tanti i Sindaci presenti alla Conferenza, da Parigi a Barcellona, da Roma a Londra - ma scontano oggi un problema politico.

Dopo la pandemia, a cancellare la speranza di un rilancio virtuoso in chiave ecologica, innovativa e giusta supportato dalle risorse di Next Generation Eu, sono arrivate la guerra, la crisi del gas e l’esplosione dell’inflazione.

Non solo, a differenza che nel 2020, stavolta è mancata una risposta condivisa alla crisi del gas che mettesse in campo risposte innovative e strutturali.

L’isolamento

Il rischio, di cui ha parlato in modo esplicito il sindaco di Varsavia Rafał Trzaskowski, è che le città si trovino ancora più isolate di quanto già non succeda oggi, rafforzando così populisti e nazionalisti.

Una preoccupazione oggi di grande attualità anche nel nostro paese, dove oramai i Comuni sono diventati una anomalia politica in un contesto nazionale e regionale a prevalenza di destra. E che potrebbe rendere ancora più complicata l’uscita da questa crisi se invece di puntare, come si era cominciato a fare con il Pnrr, su interventi nelle aree urbane che tengono assieme innovazione energetica sostenibile e riduzione della povertà, si decidesse di cambiare strada con il nuovo governo.

Le soluzioni per fermare i cambiamenti climatici esistono, sono sempre più accessibili da un punto di vista tecnico ed economico e proprio le aree urbane potrebbero diventare il laboratorio più efficace della transizione energetica. Ma per riuscirci serve uno scatto politico sia a livello europeo – dove non esistono fondi per questi obiettivi destinati alle aree urbane, e tutto passa per il tramite di governi e regioni – che internazionale.

Perché tra meno di un mese si apre la conferenza sul clima delle Nazioni Unite, la Cop27 in Egitto, con il rischio di un nulla di fatto mentre il mondo ha già superato la soglia di 1,3 gradi di aumento medio della temperatura e la cronaca quotidiana ci racconta di una catastrofe climatica sempre più incombente.

© Riproduzione riservata