I sostenitori di Jair Bolsonaro che domenica hanno preso d’assalto il Congresso nazionale, la sede della presidenza della Repubblica e la Corte suprema seguivano inevitabilmente la stella polare dell’assedio di Capitol Hill, l’evento che due anni fa ha brutalmente portato l’azione eversiva nell’orizzonte delle cose possibili anche nelle democrazie mature. E figurarsi in quelle acerbe.

Forzare l’analogia fra situazioni così diverse è un esercizio di semplificazione che può portare a conclusioni fuorvianti, ma l’assalto del Campidoglio di Washington ha introdotto nello spazio mentale dei facinorosi di tutto il mondo l’idea che l’occupazione più o meno armata dei palazzi del potere sia una modalità praticabile per affermare presunte ragioni del popolo che l’esito delle elezioni democratiche ha invece tradito.

I fatti del 6 gennaio 2021 sono stati un esperimento di rivolta sovversiva sobillata da un leader populista in attesa di essere replicato in altri laboratori, adattandosi alle circostanze particolari e facendo leva sulle condizioni specifiche dei vari paesi.

Se è stato possibile a Washington, sarà possibile anche a Brasilia, anche se in forme e modalità differenti

Significa che laddove si innesta un governo nazional-sovranista o di marca post fascista si creano ineluttabilmente le condizioni per azioni eversive quando questo poi viene disarcionato o semplicemente non confermato alle elezioni?

La logica determinista ha molte falle, ma evidentemente la questione ci riguarda. E non solo immaginando ipotetici scenari futuri in cui quello che è successo al Congresso potrà succedere un giorno anche a Montecitorio, ma perché l’effetto globale di Capitol Hill a Roma si è già manifestato.

L’assalto alla Cgil dell’ottobre 2021, capeggiato da Forza nuova, che per l’occasione aveva catalizzato e mobilitato una variopinta platea di antagonisti della dittatura sanitaria, era nato sotto le insegne delle gesta violente dei trumpiani al Campidoglio.

I manifestanti violenti puntavano orginariamente a palazzo Chigi e a Montecitorio e hanno ripiegato poi sul sindacato quando il piano si è infranto sui cordoni della polizia.

I messaggi su Telegram degli organizzatori erano pieni di riferimenti alla vicenda di Capitol Hill, fonte d’ispirazione non soltanto ideale ma anche tattica, visto che Pamela Testa, poi arrestata alla fine della giornata di violenza, indicava attraverso messaggi ai manifestanti di «gestire la piazza in modo dinamico» e diceva «cambieremo percorso da un momento all’altro», come avevano fatto i militanti trumpiani dopo aver rotto lo schema della manifestazione statica per passare all’azione.

Senza voler sminuire la gravità dell’assalto alla sede della Cgil, il passaggio dall’assalto dei palazzi della politica alla vandalizzazione di quel che capitava a tiro ci ha poi ricordato che siamo pur sempre il paese in cui la situazione è sempre seria ma non grave e la rivoluzione non si farà mai perché ci conosciamo tutti, ma il chiodo piantato nell’immaginario collettivo da quello che è sciaguratamente capitato a Washington (ed è stato replicato a Brasilia) è più forte di tutte le massime sdrammatizzanti sul carattere italiano di Longanesi e Flaiano.

La forza sovversiva dell’orda rabbiosa e l’ardere delle passioni del demos, sapientemente attizzate e guidate da leader che si sono intestati il diritto esclusivo di interpretare la volontà popolare, sono gli ingredienti che l’assalto di Capitol Hill ha portato dall’inimmaginabile alla realtà, e che i fatti di Brasilia, ispirati da un Bolsonaro strategicamente rifugiato in Florida, hanno ulteriormente normalizzato.

L’emergere di certi sintomi non va sottovalutato, anche in nei casi in cui l’intento eversivo non finisce con i manifestanti asserragliati nei palazzi delle istituzioni.

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