La crescente stigmatizzazione di parte della società francese nei confronti della popolazione delle banlieues, si nutre anche della tesi della “deriva comunitaria” e delle periferie come “territori perduti della Repubblica” nelle quali, per effetto dell’azione di gruppi di religione islamica decisi a ignorare i “valori repubblicani”, regnerebbero norme diverse da quelle effettivamente vigenti nel resto del paese.

Tesi alimentata da forze politiche e culturali fautrici dell’identità esclusiva dei “francesi di suolo”, che trovano ricezione anche tra cittadini appartenenti a schieramenti politici o culturali diversi, convinti che alcuni segmenti di popolazione immigrata mettano in discussione due cardini fondativi della République: il principio di laicità e il modello assimilazionista.

Declinato in chiave di laicità “negativa”, il primo si fonda sulla netta separazione tra stato e confessioni religiose ed esclude qualsiasi forma di riconoscimento pubblico della religione, considerata un fatto privato. Il secondo, che si fonda sul principio dello ius soli, si regge sull’idea che l’appartenenza nazionale esiga la condivisione di valori e tradizioni comuni e che l’integrazione possa avvenire solo mediante la convergenza degli immigrati su valori e comportamenti tipici della società francese.

Il nichilismo valoriale

Laicità dello stato in versione repubblicana e modello assimilazionista hanno sorretto, sino agli anni Settanta, una società, come quella francese, allora demograficamente stabile, relativamente omogenea culturalmente e caratterizzata dalla presenza di componenti etniche e religiose, insediatesi nel territorio nazionale per effetto dei processi migratori e dei flussi coloniali di ritorno, consapevoli del loro status di minoranza.

Entrambi i pilastri hanno mostrato segni di logoramento a partire dal decennio successivo, quando non è stato più possibile regolare statualmente i flussi e l’immigrazione è cresciuta nei numeri.

La globalizzazione ha fatto circolare non solo merci e forza lavoro, ma anche specifiche identità culturali e religiose che, contrariamente al passato, non sono più occultate nello spazio pubblico e si manifestano sotto forma di domande di riconoscimento o situazioni di fatto ritenute incompatibili, in Francia, con la laicità e l’assimilazionismo.

Sull’impasse dello scambio politico alla base del modello assimilazionista, fondato sulla rinuncia alle identità particolaristiche nella sfera pubblica contro l’accesso a una cittadinanza che garantisce pieni diritti individuali, ha inciso non solo la rivendicazione della legittimità delle culture altre, ma anche la crescente diseguaglianza sociale e l’assenza di politiche pubbliche capaci di contrastarla.

Nell’èra del liberismo trionfante nemmeno la Francia ha supportato efficacemente, al di là dell’altalenante andamento politico, quei processi di integrazione che pure continuava a sollecitare.

Le politiche di integrazione non hanno bisogno solo di riferimenti valoriali ma anche di risorse e strumenti per attuarle concretamente. Un’impasse che, alimentando la sensazione di “doppia assenza” – il sentirsi né parte della cultura originaria, né di quella francese – ha prodotto, tra i giovani di periferia, un diffuso “nichilismo valoriale” o la riscoperta identitaria delle radici in chiave comunitarista e religiosa.

La promessa d’assimilazione

Buona parte della popolazione di origine non autoctona vive con disagio l’incorporazione in una cultura che sembra voler negare, o ritenere di minore rilevanza, la propria.

Così la frattura culturale tra le diverse componenti della società si è accentuata. Anche perché lo scarto tra una proclamata, ideale, universalistica, concezione della cittadinanza, forgiata sui “valori repubblicani”, e la quotidiana esperienza degli immigrati, ha eroso la legittimità dello scambio politico alla base della promessa assimilazionista.

Scambio ribadito anche dalla legge del luglio 2006, che obbliga alla firma di un contratto di accoglienza e integrazione tutti i nuovi arrivati sul territorio francese. Non è un caso che le rivolte delle banlieues esplodano quando la retorica del “tutti francesi” si infrange contro l’evidenza dell’esclusione economica e sociale che colpisce, in primo luogo, gli immigrati di seconda generazione o di recente insediamento che vivono in banlieue, in particolare quelli di origine africana.

L’assimilazionismo è criticato anche dalla componente di religione islamica, a causa della difficoltà di separare nettamente sfera pubblica e privata secondo i canoni della laicità “ negativa”. In un ambiente in cui più culture condividono il medesimo spazio sociale, come nella società francese di oggi, quei principi paiono non rispondere più alla realtà quotidiana.

Temi come l’educazione e l’istruzione hanno implicazioni che riguardano sia l’eguaglianza delle opportunità pubbliche sia il riconoscimento delle differenze private. Le problematiche emerse nell’ “affare del velo” che, nel 1989, rivela la contraddizione provocata dalla rigida divisione tra sfera pubblica e sfera privata a scuola, sono significative.

Il reiterato divieto di "ostentare" tra i banchi la propria identità religiosa, sfociato nella "legge sui segni religiosi a scuola", nata nel 2004 a seguito della riflessione della Commissione Stasi, ha provocato disagio tra i musulmani francesi.

Se per gruppi di matrice salafita la copertura è questione non negoziabile, e per alcune donne radicalizzate il divieto è stata la leva che le ha spinte a farsi muhajirat, “coloro che migrano per fede”, inducendole a raggiungere le fila dell’Isis – organizzazione nel quale militeranno, dopo il 2011, oltre millecinquecento francesi in gran parte provenienti dalle banlieue –, il malessere tocca anche credenti che non appartengono o non simpatizzano con quelle correnti politiche e religiose.

La polarizzazione

Molti sono quelli che pensano che il richiamo ai valori repubblicani sia rivolto in particolare “contro” l’islam. Convinzione corroborata dalla crescente percezione che l’asticella della laicità sia stata posta troppo in alto per i musulmani. E che la richiesta di adesione a valori enunciati come universali implichi l’imposizione di principi non compatibili con la fede, rendendo quasi impossibile essere insieme francesi e musulmani.

Scandito dalla trasformazione nell’immaginario collettivo degli immigrati in “musulmani” e della laicità in religione civile contrapposta a una concezione della religione ritenuta militante – secondo i canoni di una speculare politica dell’identità che tenta non solo la destra estrema –, il conflitto si polarizza.

Se per gli uni il problema è la laicità, per gli altri è l’islam in quanto tale. In tal modo la "rottura culturale" si allarga, anziché ricomporsi. Diventando faglia. È questo contesto di irrisolte questioni che, ciclicamente, riesplodono le tensioni tra i giovani delle periferie e la République.

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