La misura è colma. La strage di innocenti a Gaza va fermata. Non è possibile rimanere inerti, non fare nulla per fermare la sete di vedetta che ha travolto il governo israeliano. Ogni giorno che passa Benjamin Netanyahu assomiglia sempre più a Slobodan Milosevic. Il paragone scandalizzerà tanti. Ma la realtà è amara, tanto più per chi, per varie ragioni, ha a cuore il paese della stella di Davide. Ricordiamo le nude cifre. I dati satellitari visibili su molti media non mentono.

I ricercatori statunitensi Corey Scher della City University di New York e Jamon Van Den Hoek della Oregon State University, usando il sistema satellitare Copernicus Sentiel-1, hanno segnalato che gli edifici danneggiati o distrutti a Gaza sono stimabili tra i 144.000 e i 175.000, un numero equivalente a circa il tra il 50-60% per cento di tutti quelli della striscia. Questa devastazione è opera delle decine di migliaia di bombe sganciate sulle teste dei palestinesi. Un diluvio di fuoco con ordigni anche di 900 kili.

La verità dei numeri

Non mentono nemmeno i numeri delle vittime. Nel corso dei precedenti conflitti tra Israele e Gaza nel 2008, 2014 e 2021, l'organizzazione israeliana per i diritti umani B'tselem e l’Associated press avevano confermato che c’era una forte convergenza tra i dati delle vittime forniti dal ministero della Salute di Gaza, controllato da Hamas , e quelli delle Nazioni Unite, del Dipartimento di stato americano e dello stesso governo israeliano. Quindi, è presumibile che anche in questa guerra le cifre non siano lontane dalla realtà. In effetti, non possono essere tanto lontane, se le immagini satellitari mostrano una tale vastità delle distruzioni, anche di campi coltivati.

La guerra, ogni guerra, è inevitabilmente feroce perché scatena i peggiori istinti. Non ci si può scandalizzare più di tanto se vengono uccisi anche quelli che impugnano una bandiera bianca, come nel caso dei tre ostaggi rincorsi e uccisi dai militari di Tsahal. Un caso reso noto dalla circostanza, ma forse rappresenta solo la punta di un iceberg visto che è documentato qualche caso simile. E lo stesso vale per il bambino di 8 anni preso di mira e freddato insieme al fratello di 15 anni in Cisgiordania, così come un povero handicappato che non capiva gli ordini dei militari, qualche settimana fa. Queste storie macabre, e tante altre, sono tutte segnalate dalla stampa democratica israeliana. Non vengono dalle fogne antisemite. Sono il portato della logica della guerra.

Proprio perché Israele è un paese democratico, benché sia attualmente tenuto in ostaggio da una cricca di estremisti e fanatici religiosi confinanti con il fascismo (come ammoniva Zeev Sternhell già dieci anni fa) , non può essere del tutto sordo alla mobilitazione dell’opinione pubblica democratica. La stessa comunità ebraica deve uscire dal suo cortocircuito per cui Israele si difende sempre e comunque, indipendentemente da quello che fa.

Terra bruciata

Quando la reazione all’eccidio del 7 ottobre si trasforma in una rappresaglia indiscriminata contro i civili, e fa del territorio “nemico” terra bruciata, anzi spanata con i bulldozer per renderla inabitabile e cancellare ogni traccia e memoria della vita precedente di chi ci viveva, si supera quella linea rossa per cui le azioni di guerra diventano dei crimini. La spirale di odio in cui sta precipitando il Medio-oriente va arrestata. Anche con azioni esemplari e nonviolente.

Riscoprendo, ad esempio, il significato politico dei digiuni di testimonianza, o sfilando silenziosamente, senza una voce, attraverso i luoghi delle fedi e delle rappresentanze nazionali. In qualunque modo va aumentata la pressione sui governi democratici perché agiscano, e su Israele perché plachi la sua furia distruttrice. Nulla sta sfregiando la sua immagine più delle pene che sta infliggendo al popolo palestinese. Se trentamila morti vi sembrano pochi. 

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