Enrico Letta si vede con Giuseppe Conte. Dario Franceschini scambia due parole con Roberto Fico. Partito democratico e Movimento Cinque stelle sono riunti come antichi cerusici attorno al capezzale di Napoli. Servono soldi. E’ necessaria una “legge speciale” per salvare dal default la terza città italiana. E per convincere Gaetano Manfredi, ex ministro ed ex rettore della prestigiosa Università Federico II, a candidarsi. Il suo è l’unico nome in grado di mettere d’accordo tutti. Soprattutto nel Partito democratico libanizzato in mille correnti, gruppi e sottogruppi.

Dopo il passo indietro (o di lato, o "potrei a patto che”) di Manfredi, il centrosinistra non ha ancora un candidato. E proprio nel momento in cui anche il centrodestra ha il suo, ora che Catello Maresca ha chiesto finalmente, dopo mesi di tira e molla, l’aspettativa al Csm. Per non parlare di Alessandra Clemente, la giovane assessora scelta dal sindaco uscente Luigi de Magistris, e di Antonio Bassolino, la vera spina conficcata nel fianco del Pd.

Anche Vincenzo De Luca (che col Pd tratta come se fosse il capo di un altro partito), appare infastidito dalle incertezze di Manfredi. «Cosa farà? E che ne so, mica dormo  con lui la notte», ha risposto ai giornalisti con la sua consueta leggiadria.

Il problema del default

Foto LaPresse - Marco Cantile Napoli, 30/09/2016 Cronaca Inaugurazione a Napoli alla sede dell'Universitˆ Federico II nel quartiere San Giovanni della IOS developer Academy di Apple. Nella foto: il rettore Gaetano Manfredi durante il suo intervento

I conti, il rischio del default, sono il punto cruciale del “quasi no” di Manfredi. In queste condizioni, è il succo, «non posso rispondere alle aspettative dei napoletani», la situazione del Comune «è drammatica. La passività supera abbondantemente i 5 miliardi, tra debiti e crediti inesigibili». Una dichiarazione forte che i napoletani (dotati di una ironia micidiale) liquidano con un vecchio detto popolare, «il professore vuole il cocco ammonnato e buono» (tradotto: è pronto a fare il sindaco, ma prima qualcuno gli deve risolvere i problemi).

Altri, più cattivi, ricordano una storia singolare a proposito di crediti non esigibili. Sono tanti a Napoli, città col reddito pro capite più basso d’Italia, dove molte famiglie devono scegliere tra pagare una tassa comunale o fare la spesa. Qui la capacità di riscossione del Comune è pari al 50 per cento, scende al 20 per le multe. Ma il dato più eclatante è che su 400 “grandi debitori” selezionati tra gli evasori della Tari (tassa sui rifiuti), il 13 per cento è costituito da amministrazioni pubbliche.

In una audizione alla Corte dei Conti del 2017, l’allora assessore al Bilancio Enrico Panini, rivelò che la Federico II, l’ateneo dove è stato rettore l’ex ministro Manfredi, non pagava la Tari da almeno dieci anni. L’Università, spiegò ai magistrati contabili l’assessore, voleva una «particolare scontistica, ma questo non significa che non si debba pagare il dovuto». Risultato: 24 milioni di debito col Comune, più 45 a carico di Equitalia.

La legge elettorale

Serve una legge per Napoli è lo slogan del centrosinistra. Ma «quando la parte migliore della città, la sua spinta civica, scendeva in piazza per denunciare le ingiustizie e le iniquità dei tagli agli enti locali, quando si chiedeva a gran voce un intervento strutturale sul debito del Comune di Napoli, gli esponenti del Partito Democratico e i rappresentanti del Movimento 5 stelle, si sbracciavano per chiedere le dimissioni del sindaco e una tempestiva dichiarazione di dissesto», dice Giovanni Pagano, assessore alle Politiche del lavoro.

«Chi afferma che de Magistris ha triplicato il dissesto offende la sua intelligenza». Enrico Panini, già vicesindaco e assessore al Bilancio, è netto nel respingere le polemiche sui conti.

Il sindaco e i suoi ricordano i tagli dei trasferimenti al Comune dal 2010 al 2019 per 2,7 miliardi, l’eredità delle amministrazioni precedenti, 174 milioni di contratti swap, soprattutto, e il “debito ingiusto”. «Ingiusto perché generato da soggetti che rispondono al governo e non alla città», chiarisce Panini. I commissariati straordinari.

A Napoli ce ne sono per il sottosuolo, per il terremoto del 1980, per l’assetto idrogeologico e i rifiuti. Il loro costo medio è di 22 milioni l’anno. Per avere un’idea, i debiti del commissariato per il terremoto di 41 anni fa, ammontano a 200 milioni, quelli accumulati dal commissariato emergenza rifiuti a 66 milioni, e solo nel triennio 2006-2009.

Di fronte a questi dati la legge speciale per Napoli appare sempre più come una manovra puramente elettorale. Servirebbe una norma per i comuni in predissesto, concentrati soprattutto al Sud. La Lega, con Milano che ha 3733,9 milioni di debito, e Torino a 2607,6 milioni, cosa direbbe? Per il momento Napoli deve accontentarsi dell’ultimo decreto “sostegni bis”. Cinquecento milioni complessivi, sotto il Vesuvio ne arriveranno quasi 300 milioni.  

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