La polemica agostana sul reddito di cittadinanza (RdC) pecca di scollamento con la realtà. Partiti e leader discutono tra loro senza tener conto che il reddito è stato una mano santa durante la pandemia: molte sofferenze aggiuntive sono state evitate proprio grazie ad esso e molte famiglie sono sopravvissute quando altre forme di reddito erano svanite. È legittimo volerlo migliorare ma non si può prescindere da tale dato oggettivo. Meritocratici e liberisti non possono negare la realtà delle cose.

Fino al 2018 l’Italia era l’unico paese dell’Ue a non aver nessuna misura di contrasto della povertà. Ma appunto è qui che risiede il problema: i partiti non amano parlare di povertà e la nascondono con la politica attiva del lavoro. Sono due temi distinti.

Il Pd  ha accettato di introdurre una norma (il reddito di inclusione Rei) solo dopo anni di pressioni della società civile. Alla fine il governo Gentiloni ha adottato il Rei per contrastare il M5s che proponeva il RdC, e dopo averlo avviato quasi se ne vergognava, attanagliato ancora dal dogma social liberale che confonde povertà e lavoro. Quest’ultimo poi bisogna sudarselo, meritarselo o casomai crearselo (il mito delle start up nei garage). La mentalità meritocratica alla fine accusa sempre i poveri di esserlo. Il RdC del governo giallo-verde è parso a molti una forma di sussidio quando invece deve essere giudicato pragmaticamente.

Ha ragione la presidente della commissione problemi economici e monetari del parlamento europeo (e vicesegretaria del Pd) Irene Tinagli quando afferma che è giusto difendere il principio alla base del RdC.  Tinagli – pur liberale –  centra il tema: tale reddito è sostanzialmente il sostegno ai cittadini in stato di povertà (tra i 5 e gli 8 milioni, dipende dai calcoli).  La stessa Tinagli precisa che solo un terzo dei percettori del reddito è occupabile: i due terzi sono anziani soli e poveri, bambini poveri, disabili ecc. che hanno bisogno di sopravvivere.

La frantumazione dei legami sociali e le successive crisi economico-finanziarie assieme all’incapacità crescente delle istituzioni di sovvenire ai bisogni dei cittadini indigenti, hanno creato un ceto sociale deprivato che vive nella penuria e nella miseria per il quale il lavoro non è la soluzione. Ad esso va aggiunto il popolo degli “invisibili”, senza fissa dimora e stranieri irregolari trattati come schiavi nei campi ecc. Questi sono i poveri.

Anche i Cinque stelle si sono arrampicati sugli specchi (navigator ecc.) per dare al reddito la “copertura lavoro” quasi non bastasse il contrasto alla povertà: la verità è che l’Italia ha bisogno permanete di un sostegno al reddito degli incapienti e dei poveri.

Nessuna tassazione e negativa o altro strumento simile può aiutare chi sta sotto tutte le soglie. Né vale il discorso xenofobo della destra che addita gli stranieri come colpevoli della povertà stessa: in Italia la povertà estrema esiste da sempre.

È tempo che la classe politica dia retta alla società civile: la povertà esiste e va affrontata guadando in faccia un popolo dolente di poveri. Tale è la direzione con cui riformare il RdC. 

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