Sta per compiersi un anno dall’invasione della Russia in Ucraina e non si vede ancora alcuno spiraglio per porre fine alla mattanza. Le cifre sui morti militari e civili sono incerte e vaghe.

I russi oppongono censura e fake news, gli ucraini stendono cortine fumogene. Ognuno ha i suoi buoni motivi. Solo la bravissima Azzurra Meringolo, giornalista di RadioRai per il terzo canale riuscì a intrufolarsi in un ospedale di Leopoli schivando il diniego dei militari che non volevano si parlasse con i feriti. Ma fu fermata subito.

La verità, hanno detto molti giornalisti, è la prima a morire nei conflitti. Eppure i reporter dalle zone di guerra riuscivano a muoversi tra le linee, se non del fuoco almeno delle menzogne.

Alcuni corrispondenti di guerra di lunga data, dopo le prime settimane, scrissero una allarmata lettera aperta per denunciare la mancanza di una informazione sul campo. Da un lato cronache embedded dagli ucraini, all’altro assenza di ogni notizia verificata.

Certo, era ben più rischioso e ben più complicato operare nelle zone controllate dai russi (ricordiamo che punivano chi definiva guerra  l’“operazione speciale”) ma l’informazione sa – e dovrebbe – sormontare  queste difficoltà.

E invece da quella parte non proviene altro che la propaganda putiniana o il silenzio. Quel che sappiamo però ci basta per vedere quanto sangue e quante distruzioni costi questo conflitto.

Ad ora non si intravede la fine. Dopo un primo momento in cui la capitolazione di Zelensky sembrava questione di ore, tanto che gli americani si offrirono di portarlo in salvo in Polonia, e nel quale si erano intensificate le pressioni internazionali sulla Russia per fermare l’Invasone, tanto da arrivare ai primi colloqui tra le parti in Bielorussia, l’ingranaggio bellico si è messo in moto con una sua dinamica propria: la difesa del sacro suolo della patria da parte ucraina, la denazificazione di chi attenta ai valori e alla sicurezza  della santa madre Russia.

Una guerra patriottica da un lato, di conquista preventiva dall’altro. Ma fino quel momento il conflitto riguardava solo due parti, legate da un intreccio così fitto e complicato da farne una sorta di guerra civile, in stile jugoslavo.

Cambio di passo

Dal momento in cui sono emersi i crimini efferati degli occupanti e Joe Biden ha qualificato Vladimir Putin come un macellaio, la guerra è entrata in un’altra dimensione. È diventata un conflitto tra Russia e Nato.

Progressivamente il coinvolgimento in termini di armamenti e addestramento da parte occidentale è cresciuto di intensità fino a invertire le sorti del conflitto come si è visto nella strepitosa controffensiva ucraina di settembre. Ora siamo ad un fase di stallo in attesa che le ostilità riprendano su larga scala nei prossimi mesi. Ma nulla si mosso sul fronte diplomatico.

Ne consegue che per arrivare alla conclusione del conflitto non si intravede altra strada che la vittoria dell’uno o dell’altro sul campo di battaglia.

Non c’è modo di fermare prima i contendenti? Per ora, no. La retorica bellicista fatta di posture guerresche e culto delle armi ha contagiato anche noi.

Parliamo solo di quali strumenti di offesa e difesa fornire, non di quale strada intraprendere per una tregua. Il leitmotiv per non fermarsi qui è che la Russia imporrebbe la sua pace, con i suoi termini, forte dei  territori che ha occupato.

Quindi, non si può parlare di pace finché non viene rimandata al di là dei confini di un tempo ,e per alcuni anche fuori dalla Crimea. 

Se questa è la prospettiva è giusto riempire gli arsenali dell’Ucraina con qualunque arma, senza andare per il sottile. Poiché, come sostengono molti, gli ucraini difendono per noi l’occidente e la democrazia (mentre invece difendono solo la loro terra, e non è poco), non solo gli vanno forniti carri armati, aerei e missili ma dobbiamo essere pronti a scendere in campo a loro fianco.

Basta infingimenti

È cinico e immorale che gli ucraini siano la carne di cannone per difendere la nostra sicurezza e il nostro benessere. È in gioco uno scontro di civiltà e Putin è il nuovo Hitler? Allora basta infingimenti e tartufismi: schieriamoci a sostengo dei valorosi combattenti della democrazia con le nostre truppe.

 Coerenza vuole che si paghi un prezzo per difendere la nostra civiltà senza appaltare tale compito ad altri. Che poi, in qualche modo, ci presenteranno il conto. Se questa ipotesi, per tante ragioni, va respinta, allora tutti gli sforzi vanno puntati alla fine delle ostilità.

E c’è un solo modo: rassicurare la Russia che l’occidente non vuole aggredirla né metterla in ginocchio e pretendere, in cambio, che l’Ucraina ritorni nei suoi confini, con uno statuto speciale per le zone russofone .

Il tutto garantito da un accordo globale che includa anche le grandi potenze rimaste alla finestra, Cina e India. La prima mossa non può venire che dall’America, dalla potenza che ha l’autorità per invitare tutti al tavolo. 

In alternativa, aspettiamo – e agiamo per –  la capitolazione della Russia. Con tutte le conseguenze del caso. 

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