«Non avremmo voluto mai prendere questo provvedimento, ma ce lo chiede l’Europa». Questa frase l’abbiamo sentita tantissime volte pronunciata con faccia mesta da molti politici, più da coloro che stanno al governo che dagli oppositori. La chiamerò la sindrome dell’alibi. «No, questo, fosse per noi, se solo potessimo, lo faremmo subito e di più, ma le regole europee ce lo vietano. Purtroppo, dobbiamo rinunciarvi, ma la colpa è dell’Europa».

Questa è, invece, precisamente la sindrome della capra espiatoria (sic). Entrambe le sindromi sono simultaneamente presenti nel dibattito italiano. Probabilmente godranno di un’impennata non appena, presentate le liste e le candidature, anche quelle civetta, comincerà la campagna per l’elezione del parlamento europeo.

Troppo spesso, se non, addirittura, quasi sempre, gli europeisti non reagiscono in maniera efficace. Non sanno, come suggerirebbero gli esperti di comunicazione politica, controinquadrare (frame) le tematiche salienti e dettare una diversa agenda del discorso politico. Tanto per cominciare l’Europa siamo noi, non è un qualcosa di separato da e di estraneo alle nostre vite, di ieri, di oggi, e ancor più, di domani.

Siamo noi che eleggiamo gli europarlamentari italiani; è il nostro governo che nomina il rappresentante italiano nella Commissione, i nostri ministri in tutti i comitati interministeriali addetti alle politiche di settore e la presidente del Consiglio che fa parte, per l’appunto, del Consiglio dei capi di governo. Se le decisioni che sono prese in queste istituzioni non tengono conto delle proposte italiane e vanno a scapito degli interessi nazionali potrebbe non essere un complotto dei poteri forti europei tutti coalizzati per oscure ragioni contro l’Italia.

Sarebbe opportuno, piuttosto, interrogarci sulla qualità delle nostre proposte, sulla capacità dei nostri rappresentanti di creare coalizioni per proteggere e promuovere nel quadro europeo i nostri interessi, sulla credibilità del, come si dice con espressione che merita di essere analizzata e chiarificata, “sistema paese”.

L’unificazione europea

Qualsiasi alibi e qualsiasi tentativo di gettare le colpe su una o più capre espiatorie peggiorano la situazione dei paesi e dei loro dirigenti che vi fanno ricorso. Nel rapporto democratico fra governanti e cittadinanza, agli europeisti si offre l’opportunità e corre l’obbligo di mettere in evidenza quanto l’Unione europea è progredita, nonostante enormi e drammatiche sfide, una delle quali, l’aggressione russa all’Ucraina, è tuttora in corso, un’altra, la pandemia da Covid, è stata sconfitta proprio grazie al coordinamento in sede europea e alle risorse messe in comune.

Europeismo per gli italiani che ci credono e vogliono più Europa significa rifarsi agli scritti e alle azioni impetuose, incessanti, infaticabili di Altiero Spinelli e alla prospettiva da lui delineata e perseguita: l’unificazione politica dell’Europa. Spinelli sapeva guardare indietro e rallegrarsi dei risultati ottenuti, senza mai però accontentarsi. Lo farebbe anche nelle condizioni, difficili, attualmente date.

Ha subìto e subirebbe delle sconfitte, ma proprio come il politico per vocazione così brillantemente individuato da Max Weber, direbbe: «Non importa, ricominciamo», avendo imparato e svolto un’opera di pedagogia politica europeista a tutto campo.

Nel processo di unificazione europea, complicato, faticoso, contrastato, aperto a una molteplicità di soluzioni, esiste spesso un “momento Spinelli”. È quello nel quale i progressisti hanno il compito di unire le forze e mobilitare cittadini in nome di quel molto che l’Europa ha già fatto per noi e di quel di più che c’è e rimarrà ancora da fare con il contributo essenziale dei cittadini europei. Le elezioni dell’Europarlamento 2024 sono sicuramente quel “momento”.

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