Qualcuno lascia il Pd e aderisce ad Azione. Qualche altro va verso Italia Viva e anche Forza Italia. Altri rientrano o si scambiano di partito. Si tratta di fenomeni personali o locali ma è abbastanza per animare dibattiti. In realtà ciò che appare è che nella polarizzazione del nostro sistema politico i riformisti sono in crisi perché non hanno identità unitaria.

Si parla tanto di praterie al centro ma al massimo si tratta di aride steppe. Cosa vuol dire stare al centro oggi? Da una parte c’è chi vede in questo un posizionamento tattico: costruire una forza centrale (più che centrista) per bilanciare i due poli o le due coalizioni.

A parte le facili ironie, è un metodo che può servire per tenere in equilibrio il sistema: se una delle due parti si spinge troppo oltre nell’estremismo, questo tipo di centro la frenerebbe minacciando di andare dall’altra parte. Una funzione da pendolo che può aiutare in uno scenario troppo sfrenato come quello dei partiti di oggi. Lo si intuisce ad esempio dalle esternazioni para-fasciste, e da tutte quelle posizioni che mettono a rischio il dialogo democratico, da qualunque parte provengano.

Altri riformisti non sono d’accordo con la funzione da pendolo e immaginano una forza compatta, laica e repubblicana, con qualche apporto spurio di altre culture politiche. Si tratta di qualcosa che ha una tradizione: mettere mano alla governance italiana per riformarla secondo regole liberali serie, non cambiare continuamente posizionamento tattico ma pensare al lungo periodo eccetera. Tale tipo di atteggiamento è anti-populista per definizione ed è utile come deterrente per le tentazioni populiste a destra e a sinistra.

Infine c’è chi immagina una forza politica valoriale, prevalentemente basata sui principi costituzionali e sul sociale, non solo e non tanto come diritti ma come tenuta della società stessa. Costoro credono che prima di tutto vada evitato il disfacimento sociale, la frammentazione dei tanti IO che credono ognuno di avere ragione e che impediscono la nascita di un nuovo NOI, di una nuova comunità italiana. Si tratta di una parte più identitaria e legata al canone delle culture politiche della prima repubblica: aprirsi allo spirito coalizionale che implica mediazioni e compromessi.

Tra queste tre proposte attualmente c’è solo concorrenza. Ne consegue che i due poli si rafforzano e ciò accadrà anche al Pd: perde qualche dirigente periferico ma guadagna elettori in cerca di identità. Elly Schlein ha capito che non deve guardare all’interno – cioè ai malumori dei dirigenti – ma verso l’esterno: c’è una forte astensione a sinistra che deve essere recuperata.

Questo dicono tutti gli studi sui flussi di voto: nel corso tempo il Pd ha perso milioni di elettori e non è certo responsabilità dell’attuale leader. La scommessa della segretaria è riportare alle urne tanti delusi della sinistra anche se questo significa un po’ di disordine nelle proposte. I critici interni dovrebbero rispettare tale tentativo: alla fine serve anche a loro.

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