Francesco Cossiga è stato commemorato, il 24 settembre scorso, nel decennale della scomparsa da Sergio Mattarella con un discorso di alto valore politico, il cui significato sta, soprattutto, nella ragione di continuità che necessariamente si stabilisce tra due presidenti della Repubblica uniti, tra l’altro, dalla originaria comune appartenenza alla Dc e, in questa, a quel filone di cultura politica che si richiama al cattolicesimo democratico, laico e liberale.

L’evento cade con felice opportunità dopo l’esito referendario, che ha e avrà conseguenze assai significative sugli equilibri costituzionali a ridosso di scadenze, tra le quali il rinnovo della carica di presidente della Repubblica.

Mattarella, nella ricostruzione della biografia politica di Cossiga, non solo colloca il personaggio nella storia della Dc nella fase della rifondazione del partito nel dopoguerra che vede il giovane studente partecipare con sempre maggiore maturità e autorevolezza alla vita politica isolana e nazionale, ma identifica uno stretto legame tra le tappe della maturazione ideale e dell’azione politica di Cossiga e i processi che hanno
interessato in pari tempo la vicenda democristiana e la stessa storia nazionale lungo un tempo che va dal dopoguerra sino alla data delle sue dimissioni anticipare, il 25 aprile 1992.

Mattarella, a dispetto di una storiografia incline ad accreditare una periodizzazione della vita politica di Cossiga in “fasi”, al fine di distinguerne una “buona” e ortodossa da una notoriamente “cattiva”, oppone una chiara volontà “unitaria” collegando tutte le presunte “fasi” dentro un contesto storico-politico nel quale solo una intelligenza politica vocata alla comprensione della complessità del mondo poteva leggerne le tendenze e le discontinuità e suggerire adeguate e coraggiose risposte.

Non imperatore ma nemmeno notaio

La complessità del mondo che si palesa nel 1989, con la fine del “regime” mondiale di Yalta, suggerisce  a Cossiga, dalla postazione della presidenza della repubblica, quello scatto interventista che sarà il suo contributo specifico per inserire il sistema politica nazionale nel nuovo ordine mondiale.

Mattarella interpreta proprio questa “fase”, tanto discussa a livello politico e dottrinale, una fase sbrigativamente definita “vivace” che culmina con il “messaggio impegnativo” di Cossiga alle Camere il 26 giugno 1991, in piena continuità con il mandato che Cossiga aveva assunto sin dal suo insediamento al Quirinale e che, dalla metà degli anni ’80 imponeva con sempre maggiore urgenza l’apertura di una nuova fase costituente, di rinnovamento istituzionale in assenza del quale le basi fiduciarie della Repubblica
tra società e politica sarebbero venute meno.

Mattarella apprezza nel suo significato più pieno e allo stesso tempo drammatico il momento
del messaggio alle Camere, utilizzato nella storia repubblicana solo da due altri presidenti, Antonio Segni e Giovanni Segni Leone, e lo proietta su una prospettiva istituzionale che vede la figura del presidente della repubblica né come notaio, né come imperatore ma come Custode della Costituzione. Qui Mattarella cita espressamente le parole pronunciate da Cossiga e riportate dal suo collaboratore più vicino, Ludovico Ortona. 

Cossiga, in quel delicato passaggio della vicenda nazionale a partire dai primi anni Novanta, con l’intenzionale reiterazione dei messaggi alle Camere sollecita le forze politiche a rimuovere quel conservatorismo costituzionale dietro il quale si andavano organizzando schieramenti nuovi e trasversali non intenzionati a rimuovere antiche rendite di posizione e che avrebbero minato con la loro passività la credibilità e l’efficienza delle istituzioni.

 Mattarella, sempre all’altezza di quest’opera di “demolizione” di un equilibrio divenuto precario, non casualmente -nella commemorazione- cita la lettera di Cossiga all’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti nella quale si ribadiscono i poteri del capo dello Stato (“né notaio e né imperatore”) per la scelta dei ministri, per il rinvio delle leggi di conversione dei decreti legge e si censura l’abuso della decretazione d’urgenza e la prassi della reiterazione da parte del governo dei decreti legge quale punto di
sofferenza del rapporto tra governo e parlamento.

Le dimissioni anticipate

Cossiga annuncia le proprie dimissioni anticipate il 25 aprile 1992 con la motivazione dell’
“ingorgo istituzionale”, la coincidenza dell’insediamento delle nuove Camere, del nuovo
governo e la successione alla presidenza della Repubblica.

Quella di Cossiga è una decisione drammatica al culmine di una situazione di grande smarrimento delle forze politiche e sociali del Paese.

E’ difficile, riascoltando le parole di Mattarella, non vedere quanto smarrimento politico e culturale c’è nella vita nazionale di oggi, assai più pericolante di quei momenti, aggravata dal risultato di un referendum che pone le massime istituzioni rappresentative in una luce di debolezza e incertezza al momento in cui servirebbero le migliori virtù politiche e morali e il massimo del consenso popolare per il governo
dell’Italia e per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica.

Ci attendiamo, dopo un così illuminante intervento di Mattarella, che la discussione venga continuata e ripresa, certamente non dal fondatore del Movimento Cinque Stelle Beppe Grillo, le cui idee sulla democrazia parlamentare sono ben note, ma dalle intelligenze e dalle forze più vive del Paese.

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