L’alluvione in Romagna è stata considerata dal Global Catastrophe Recap la terza catastrofe naturale del 2023 nel mondo e dall’istituto assicurativo Swiss Re il l’evento meteorologico italiano più costoso dal 1970. Di fronte alla devastazione di case, campi e officine il governo resta con le mani in mano. O non si rende conto dell’entità del disastro e non ha proprio capito a dispetto delle passerelle in stivaloni, o è solo incapace, inetto, come attestano i suoi svarioni su vari fronti, e quindi non sa nemmeno da che parte incominciare.

Oppure, e non vorremmo nemmeno pensarlo, agisce con un secondo fine: lesinare e rallentare gli aiuti in modo che i cittadini, esasperati, finiscano per prendersela con i rappresentanti delle istituzioni che gli sono più vicini, e cioè con i sindaci che , guarda caso, sono quasi tutti del Pd in Romagna. Andare per le strade di collina è diventato un gigantesco giro dell’oca, vieni rimandato indietro ad ogni curva e devi cominciare daccapo da un’altra parte per poi trovarti nella stessa situazione. Andare per i campi invasi dai fanghi ricorda quelle immagini delle paludi essiccate del Bangladesh.

Camminare per le strade delle città da un lato rincuora per la tenacia e la grinta delle genti di Romagna che non cedono, ma dall’altro dispera per la quantità di case e negozi ancora devastati. Ma l’assenza di finanziamenti da parte del governo ha già fermato molti lavori di ripristino perché le ditte non vedono più un soldo dopo che i comuni hanno dato fondo a tutte le loro risorse finanziarie. Anche il turismo non riesce a tenere il passo con la stagione passata. Se al resort della ministra Santanché c’è in tutto esaurito, negli alberghi della riviera romagnola no. Rischia così di incepparsi uno dei motori dello sviluppo economico nazionale. Il presidente della regione, Stefano Bonaccini, dopo aver trangugiato più di un rospo facendo buon viso a cattivo gioco, alla fine è sbottato.

Avendo il polso della situazione in tempo reale sente quanto monta l’esasperazione per l’inerzia, quasi la svogliatezza, del governo. Nemmeno il commissario straordinario, il generale Figliuolo, riesce a fare più di tanto, sia perché piovuto dal cielo senza alcuna conoscenza del territorio, sia perché tuttora responsabile delle missioni militari all’estero, un incarico non facilmente conciliabile con quello per cui è stato nominato dal governo Meloni. Le critiche lanciate da una figura come Bonaccini che ha sempre mostrato un profilo istituzionale segnalano quanto la misura sia colma. Ma se neppure questi toni accesi non smuovono il governo, allora non rimane che la mobilitazione. L’opposizione non si fa solo nelle alule parlamentari ma anche e soprattutto nella società civile.

Per molto, troppo, tempo il Partito democratico è stato il partito delle istituzioni, e a difesa delle istituzioni. A forza di prestarsi a questo ruolo di soccorritore di ultima istanza ha pagato un tributo di voti altissimo perché, inevitabilmente, doveva mettere la sordina alle sue richieste. Dall’anno scorso è iniziata una nuova fase politica: dopo undici anni, ad eccezione dei 14 mesi del governo giallo-verde Conte-Salvini, il Pd si trova all’opposizione. In questo ruolo gli strumenti e la logica di azione sono diversi. La petizione sul salario minimo è uno di questi. Ma l’unico partito che ancora si fregia di questo nome potrebbe fare un passo in più e mettere in campo, in piazza, altre modalità di intervento, più visibili. L’inadempienza del governo di fronte all’alluvione fornisce una ottima occasione.

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