Sobrietà. Tra i possibili aggettivi per sintetizzare il mandato del presidente della Repubblica Sergio Mattarella il riferimento a un’esperienza di presidenza parca mi pare quello adeguato. Contenuto nelle esternazioni, diplomatico, fermo nei valori, saggio nelle consultazioni e praticamente inflessibile nelle forme. Una rarità nel panorama politico e istituzionale del paese, troppo sovente incline a digressioni personali, atteggiamenti extra protocollari e invasioni di campo. Chi confondesse la sobria pacatezza con la remissività sbaglierebbe enormemente ché la storia del settennato di Mattarella insegna molto, ed è un monito.

La popolarità del presidente Mattarella è elevata, al pari dell’apprezzamento per l’operato, e al netto di alcune differenze tra gli elettorati, è nel complesso trasversale tra gli schieramenti. Fin dal giorno dell’elezione Mattarella ha inviato segnali chiari, simbolici e metaforici, ricchi di contenuto e coerenti nella difesa e nel rispetto della Carta costituzionale. La prima uscita è stata nel pomeriggio dell’elezione, recandosi alle Fosse Ardeatine, poi il magnifico discorso di insediamento, compendio di educazione civica e politica. E i lunghi silenzi loquaci delle prime settimane hanno lasciato costernati i giornalisti assiepati smaniosi di un commento su tutto e tutti. Eletto dodicesimo capo dello stato al quarto scrutinio con il sostegno di Pd, Sel e Scelta civica con 665 voti (come Giuseppe Saragat e Oscar Luigi Scalfaro) e la benevolenza di Forza Italia, imbarazzata su rigettare una figura tanto autorevole; con un chiaro percorso politico nella Dc e nel centro-sinistra, giudice costituzionale in carica al momento del voto, Mattarella è stato votato a 74 anni come “indipendente”. La terzietà, o meglio l’imparzialità sono state la cifra dell’intero settennato.

Gli atti

Tra gli atti formali più significativi, Mattarella ha nominato due giudici costituzionali, numero dettato dalle disposizioni costituzionali (art. 135). Inoltre ha nominato una senatrice a vita (Liliana Segre). In questo caso avrebbe potenzialmente avuto maggiore agibilità, ma l’interpretazione di Mattarella della disposizione costituzionale è andata nella direzione di seguire la consuetudine (dopo l’eccezione di Sandro Pertini e Francesco Cossiga) per cui si hanno contemporaneamente un massimo di 5 senatori a vita di nomina presidenziale. Il settennato 2017-2022 è stato segnato da una significativa presenza nel processo di nomina del presidente del Consiglio dei ministri.

È cruciale segnalare che la Carta (art. 92.2) non impone alcun vincolo o criterio esplicito rispetto al percorso che conduce alla nomina. L’azione di Mattarella si inserisce in un contesto politico e partitico mutato significativamente. L’incertezza emersa nel post-elezioni 2018, il sostanziale tripolarismo e l’elevata frammentazione, nonché l’emergere di alleanze e coalizioni differenziate rispetto al momento elettorale hanno palesato un quadro di sostanziale ingovernabilità del parlamento. L’azione di Mattarella è stata incisiva e significativa in almeno in due dei quattro casi di nomina e formazione del governo, nel Conte II e per Draghi. Ma già dopo il momento elettorale del 2018 il capo dello stato aveva chiaramente marcato la statura di incondizionato rispetto della collocazione europea dell’Italia.

I governi

Mattarella non ha proceduto alla nomina di Paolo Savona quale ministro dell’Economia in virtù delle chiare, reiterate, posizioni contro l’Unione europea e l’euro. Ne è derivata una grave tensione politica che è culminata con la richiesta di Luigi Di Maio di attivare la procedura per messa in accusa del presidente per alto tradimento (sì, concordo, la Storia va ricordata). Per il resto Mattarella ha preso atto con imparzialità dell’alleanza “sovranista”. Il governo Conte II è nato sull’incertezza tattica di Matteo Renzi e sul cambiamento di posizione del Pd, ma soprattutto sulla scia del voto del parlamento europeo a favore di Ursula von der Leyen.

Nelle consultazioni per la formazione del governo Draghi va ribadito che esiste reciproca e datata stima con il capo dello stato. Mattarella ha preso atto della situazione di impasse in parlamento nonché della conflittualità tra i partiti della coalizione, della crisi interna al M5s che avrebbe reso ancora più precaria la vita del governo. La verifica affidata al presidente della Camera Roberto Fico, eletto dal M5s, per fugare dubbi su ostilità verso Conte, ha certificato l’assenza di altre possibilità e ha raccolto evidenze di consenso su Draghi. Infatti, sebbene sovente si tenda a interpretare il confronto politico e istituzionale su basi personali, il grado di interventi dei presidenti dipende dalle opportunità offerte dal contesto.

Le caratteristiche soggettive incidono sul modo concreto in cui l’azione si esplicita: nel caso di Giorgio Napolitano, ad esempio, l’intervento è più esplicito in virtù della sua cultura del primato della politica. Nel caso di Mattarella, l’azione è meno esposta, ma non per questo meno forte, abituato a una cultura che fa emergere l’attivismo con azioni mediate, e quasi effetto inevitabile di una crisi ormai matura. Secondo la celebre metafora di Giuliano Amato i poteri presidenziali si comportano come il mantice di una fisarmonica che si espande quanto più le crisi sono profonde. In sintesi possiamo indicare tre grandi periodi:

1948-1993: crisi “extra parlamentari” con coalizioni tendenzialmente stabili e governi con durata media inferiore a un anno. L’intero processo era governato tra i partiti e nei partiti. L’impossibilità dell’alternanza al dominio democristiano contribuiva a rendere il presidente un attore che ratificava. La supplenza presidenziale agiva allorché fosse esaurita una formula, ma non ancora pronta la successiva (Giovanni Gronchi tra fine del centrismo e inizio del centrosinistra, Pertini tra solidarietà nazionale e pentapartito). Tra il 1992-1994 la fisarmonica si è aperta frequentemente, tanto che si è parlato di forma parlamentare a correttivo presidenziale. Una constatazione, ma anche evidentemente un problema, in termini di maggioranze instabili.

1994-2013: a inizio legislatura si insediano governi che rispecchiano l’esito elettorale, ma poi c’è un “intervento presidenziale” (Scalfaro con Lamberto Dini e Napolitano con Mario Monti).

Infine, dal 2013 assistiamo a una maggiore azione e intervento del capo dello stato (Letta, Conte II e Draghi), proprio per le ragioni menzionate e per la crescente frammentazione partitica e l’ascesa del M5s come terzo polo.

In questo contesto sclerotizzato, il presidente Mattarella ha rappresentato un faro nella notte della temperie politica di una legislatura paralizzata. Il capo dello stato appare una sfinge, ma il sobrio intervento è una sicurezza nei momenti difficili per il paese. Recentemente Mattarella segnalando la propria indisponibilità a ricandidarsi ha indicato la possibile riforma costituzionale per l’abolizione del semestre bianco perché nessuno potrebbe essere accusato di favorire la successione. «Il semestre bianco...potenzialmente può consentire un periodo di irresponsabilità politica». Cristallino ha sintetizzato il rischio assai grave di un periodo di grande tensione, confusione e palude parlamentare.

Il parlamento pensi alle riforme necessarie in tal senso. Dal semestre bianco alla riforma dei criteri di eleggibilità, abbassando l’età da cinquanta a quarantanni. Qualora persistesse l’indisponibilità del presidente Mattarella a un nuovo mandato, il parlamento dovrà individuare analoga figura capace di accompagnare la fine ordinata della legislatura fino alla scadenza regolare, come ragionevole per condurre in porto il programma di governo.

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