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Siamo stati abituati ad una narrazione che dava la democrazia generalmente condivisa come approdo definitivo. Quella narrazione, ora, non è più credibile. All’improvviso scopri che tutto quello che – troppo pieno del tuo presente – pensavi che non ci sarebbe stato «mai più», invece può tornare ad esserci.
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Un progresso democratico richiede una maturazione interiore della legge del «non tutto», che ci rivela a noi stessi come mancanza. Solo se l’accetto, capisco che l’altro mi è necessario per realizzarmi, ed è questa intuizione che rende la democrazia una ipotesi convincente.
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Ecco perché, piuttosto che di un Ministero del merito, forse avremmo avuto bisogno di un Ministero del limite, che, nei percorsi di istruzione, non ti premi semplicemente perché sei arrivato primo, ma perché hai capito che, per arrivare primo, hai bisogno di altro e di altri che spesso sono più grazia che merito.
Ho riletto in questi giorni, Cristianesimo e democrazia, del filosofo francese J. Maritain, del ’41. E mi ha colpito molto, perché mentre scorrevo quelle pagine così dense di ottimismo sulle magnifiche sorti e progressive della democrazia che sarebbero arrivate dopo la guerra, mi veniva in mente l’Ucraina, le democrazie illiberali europee, le fragilità della democrazia americana, e tanto altro ancora. Mi son chiesto che direbbe Maritain oggi, di quelle pagine piene di fiducia scritte 80 anni fa



