Qualche giorno fa sul Corriere della Sera, Sabino Cassese è intervenuto – con uno dei suoi consueti editoriali – sul tema della scarsa chiarezza delle norme e, in particolare, di quelle relative all’emergenza sanitaria.

Il tema della qualità della regolazione e della sua “oscurità” è stato ampiamente dibattuto dalla dottrina e dalla politica italiana negli ultimi quarant’anni: nel 1997, proprio per ovviare alla scrittura di leggi impossibili da leggere, capire, interpretare e, quindi, applicare, la Camera, su impulso dell’allora presidente Luciano Violante, aveva riformato il proprio regolamento e istituito il Comitato per la legislazione.

Si tratta di un organo composto da dieci deputati scelti in eguale numero fra maggioranza e opposizione, cui spetta il compito, tra l’altro, di verificare se i disegni di legge, in corso di approvazione da parte delle Commissioni competenti, siano scritti in modo semplice, chiaro, e appropriato.

Con questa finalità il Comitato rilascia, su richiesta delle Commissioni, pareri non vincolanti. Negli ultimi dieci mesi, il Comitato ha rilasciato 26 pareri su altrettanti disegni di legge esprimendo 21 condizioni, 48 osservazioni e 31 raccomandazioni al fine di rendere più chiari e coerenti i testi normativi prodotti.

Purtroppo solo in quattro casi su dieci le Commissioni competenti hanno approvato le condizioni poste dal comitato e soltanto il 19 per cento delle osservazioni e raccomandazioni ha avuto un qualche esito.

Il che significa, in buona sostanza, che i parlamentari, pur informati della scarsa chiarezza delle norme che andavano ad approvare, hanno deciso di lasciarle inalterate.

Come ha scritto Michele Ainis nel suo libro La legge oscura (Laterza, 1997), «le leggi italiane sono intenzionalmente oscure per effetto di un persistente scollamento tra le forze politiche», con il risultato di spostare sulla magistratura il compito di «estrarre principi e massimi dalle vuote formulazioni delle leggi».

La scarsa chiarezza della legislazione deriva anche dall’ampiezza dei testi normativi. Basti pensare che nel corso dell’attuale legislatura, le leggi di iniziativa governativa – compresi i decreti leggi convertiti – sono composte complessivamente da oltre 15.000 commi e da oltre un milione e 700mila parole (le leggi di bilancio 2019, 2020 e 2021 occupano da sole 3.488 commi e 369.310 parole).

I testi inizialmente presentati dal governo sono “cresciuti”, nel corso dell’esame in parlamento, in media del 70 per cento. Questo marasma normativo è ulteriormente aggravato dal fatto che le leggi, oramai, rinviano sempre ad altri atti – in genere decreti ministeriali – per la loro concreta attuazione tanto che, pure su queste pagine, abbiamo parlato di leggi “a scoppio ritardato”.  

Lo stato dei decreti attuativi

Su quest’ultimo versante dobbiamo registrare, però, segnali incoraggianti. Alcuni numeri sono emblematici: le leggi approvate dall’inizio della legislatura a oggi, hanno previsto oltre 1.800 decreti attuativi. All’atto dell’insediamento, il governo Draghi si è ritrovato una zavorra di 679 decreti ancora da emanare, cui se ne sono aggiunti altri 357 previsti da leggi approvate durante l’attuale governo.

Ebbene, dal 13 febbraio al 31 dicembre 2021 lo stock dei decreti non adottati ereditato dai precedenti esecutivi della attuale legislatura si è ridotto del 60,1 per cento, passando da 679 provvedimenti a 271.

Nello stesso periodo, sono stati adottati 182 provvedimenti dei 357 previsti dalle disposizioni legislative approvate sotto il governo in carica. In sostanza, quindi, a fine 2021, risultano emanati il 51 per cento dei provvedimenti previsti.

Sembra poco in termini assoluti ma è davvero tanto se si considera che il governo Letta è riuscito ad attuare il 12 per cento dei decreti previsti, quello Renzi il 29 per cento, quello Gentiloni il 17 per cento e i due governi Conte, in media, il 18 per cento.

In sostanza, rispetto a tutti i governi precedenti, che riuscivano ad attuare meno di due decreti sui dieci previsti da norme di legge, l’attuale arriva a più della metà. Oltre ogni positiva aspettativa, occorre riconoscere che le misure poste in essere dal sottosegretario Roberto Garofoli stanno producendo ottimi risultati, dimostrando che, se si vuole, è possibile invertire la rotta.

La rotta deve ora essere invertita anche nella fase di scrittura delle leggi. Come scriveva Hegel, non c’è democrazia se le leggi sono appese tanto in alto da non poter essere lette. E se ad appenderle così in alto è lo stesso parlamento, allora non resta che rinnovare per intero la classe politica.

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