In politica non si ragiona mai su ciò che sarebbe potuto essere, tuttavia nel caso dell’ex terzo polo questo approccio appare inevitabile. Se Calenda, Renzi e gli altri non avessero litigato dopo il buon risultato alle elezioni politiche del 2022 dove presero quasi l’8 per cento, oggi quell’esperienza si sarebbe potuta trasformare in una lista europeista che, in una elezione proporzionale, nonostante la dinamica di bipolarizzazione in corso, avrebbe potuto puntare alla doppia cifra.

Ma la politica è fatta da uomini, e questi dai loro caratteri, quindi non resta che ragionare su ciò che è. Allo stato attuale non sappiamo ancora se ci saranno due liste centriste o addirittura tre, con +Europa ancora nel guado tra allearsi con Italia viva di Renzi o meno.

Sondaggi alla mano c’è il rischio concreto che nessuno dei tre partiti (Azione, Italia viva, +Europa) superi lo sbarramento del 4 per cento. Ciò dà l’idea di quanto il centrismo politico oggi sia un enigma irrisolto non soltanto dal punto di vista umano, ma anche ideologico. Prima di tutto le esperienze centriste hanno tutte il vizio originario di essere una costola della sinistra che si è sganciata da quest’ultima, vale per Renzi, per Calenda e per Bonino.

Quando i centristi hanno costruito una lista autonoma dai due poli sono andati bene, si pensi alle politiche del 2022 ma anche a Soru in Sardegna, mentre l’alleanza con la sinistra, e la discussione infinita e oscillante intorno a questa, ne ha minato forza e consenso. Calenda in particolare sembra aver perso davvero troppo tempo a tentennare intorno al campo largo e a Conte e Schlein. Ciò richiama un problema di identità politica.

Che cosa sono queste liste centriste? L’espressione di un progetto politico, per quanto fragile, autonomo oppure sono il petalo moderato di un centrosinistra unito? Questa domanda non è stata mai affrontata fino in fondo dai litigiosi leader e pone un problema di chiarezza verso gli elettori. Si prenda di converso Forza Italia, che, invece, è sempre stata chiara: moderati, popolari, ma saldamente alleati con la destra. Non c’è mai stata ambiguità, e infatti il partito è sopravvissuto al suo fondatore e oggi non subisce perdite di voti a vantaggio dell’ex terzo polo.

Eppure sul piano ideale i centristi non scontano, come la sinistra, particolari differenze o difficoltà di conciliazione, poiché sono tutti filoatlantici, europeisti, vicini a Israele, a favore di misure di sviluppo infrastrutturale e industriale, liberali in economia.

Possono queste idee essere mescolate nel campo largo? Sposarsi con i demiurghi del Superbonus e del Reddito di cittadinanza, convivere con il pacifismo a tutti i costi e con chi vorrebbe chiudere un occhio sull’antisemitismo in certe università? In politica tutto si può fare, ma tutto ha anche un prezzo. E per i centristi rischia di essere il prezzo dell’irrilevanza.

Al contrario, Calenda e Renzi possono stare all’opposizione ma senza entrare nelle dinamiche del campo largo. Questo esercizio sarebbe più semplice se non ci fosse stata la separazione e la dispersione di forze, mentre una tale frammentazione incentiva a cercare alleanze a ogni costo per salvare qualche seggio.

Ma prima c’è da sciogliere il nodo delle europee, e questa storia può finire in tre modi: una lista unica europeista, a oggi difficilissima da realizzare; due liste in cui si innescherebbe un “mors tua, vita mea” poiché soltanto una tra Azione e Italia viva riuscirebbe verosimilmente a superare la soglia di sbarramento; la debacle totale con i liberali italiani non rappresentati al parlamento europeo.

Già, perché al di là del piccolo cabotaggio del centrismo italiano c’è anche una questione europea: il gruppo dei liberali potrà contare sui rappresentanti italiani? Se così non fosse per mancanza di consensi ne guadagnerebbero in primis Forza Italia, FdI e Pd poiché sarebbero le uniche forze nel Parlamento europeo che potrebbero partecipare alla prossima maggioranza. La rappresentanza liberale italiana in Europa resterebbe sfornita non tanto per mancanza di un elettorato – le liste sommate dei “centrini” andrebbero oltre il 4 per cento – quanto per l’incapacità dei suoi leader.

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