È davvero fuorviante il paragone fra l’Holodomor e l’assedio di Gaza imposto da Netanyahu proposto da Gigi Riva su questo giornale. Oltre, a mio modesto parere, essere gravemente offensivo verso quella memoria ucraina che oggi qualcuno a Mosca vuole deturpare. Cerchiamo di ricapitolare per capire l’immane svista di un simile paragone storico.

Nei primi anni ’30 l’Urss vive una carestia, che mette a rischio la tenuta del regime comunista nato dalla Rivoluzione d’ottobre, che rischia seriamente di non essere in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare della popolazione sparsa in quell’enorme territorio che era l’Unione Sovietica. Inizia un programma di accentramento alimentare in stile staliniano. Quando si dice, basta la parola per capire i metodi dell’operazione. I kulaki, i piccoli proprietari terrieri ucraini che già erano stati etichettati dal regime sovietico come «nemici di classe» si ribellano. È il pretesto per Stalin per dare il via ad una delle repressioni più atroci della storia moderna.

L’Ucraina viene letteralmente chiusa a chiave dopo essere stata svuotata di ogni derrata alimentare, persino i semi vengono sequestrati. Il risultato è l’Holodomor, il genocidio per fame. Fenomeno storico avvolto nella nebulosa della censura staliniana, basta sempre la parola, riesumato in era Perestrojka soprattutto grazie alle memorie famigliari.

Le cifre

La storiografia sul tema parla di una quantità di morti che si aggira fra i cinque e i sette milioni di persone. Ora, esiste un sito accessibile a tutti (gaza-aid-data.gov.il), dove sono elencati nel dettaglio dei contenuti, delle rotte seguite e di ogni tipo di informazione possibile, gli aiuti umanitari entrati nella striscia durante le operazioni militari israeliane, via terra, via aria, via mare. Ecco le cifre ad oggi: 1.759.599 tonnellate di aiuti via terra, corrispondenti a 91.047 camion; 7.385 tonnellate via aria, 10.450 bancali; 9.710 tonnellate via mare, 725 carichi.

Chiaro che in uno scenario così distruttivo nessun aiuto sarà mai abbastanza e ancor di più è chiaro che la mossa di Netanyahu, condannato a una guerra infinita (questa della guerra infinita è una categoria dei conflitti contemporanei che andrebbe attentamente analizzata), di bloccare l’ingresso degli aiuti umanitari è infame ma, anche questo va detto senza mezzi termini, non esiste equivalenza in nessuno scenario bellico al mondo rispetto alle cifre sopra riportate. Se sì, me li si citi.

Paragonare questo all’Holodomor è un’atroce iperbole senza alcun significato né storico né razionale, se non rispondere all’emotività del momento e all’enorme pressione pubblica a cui chi scrive è sottoposto. Di qui nascono le oscillazioni che vanno dal definire il 7 ottobre un grumo di Shoà, quando si tratta di fenomeni incommensurabilmente diversi nelle cifre e nella stessa intenzionalità del gesto, alle iperboli di oggi, che non hanno ragion d’essere in nessun aspetto.

Contraddizioni su contraddizioni, quando bisognerebbe mantenere, proprio noi che abbiamo responsabilità perché figure a suo modo pubbliche, un taglio analitico che, assieme a fornire elementi interpretativi capaci di favorire l’orientamento in questo mare magnum di disinformazione e propaganda che è l’era web, cerchino di porre un argine a logiche di esportazione del conflitto. So benissimo che queste mie parole non indurranno nessun ripensamento in chi le ha scritte e nemmeno in chi, leggendole, ha potuto trovare conferma dei propri pregiudizi.

Il motivo è semplice: chi appartiene alla maggioranza non ha bisogno di giustificare le proprie contraddizioni perché troverà sempre il sostegno popolare. La nuova moda è fare spallucce di fronte a qualunque osservazione critica rispetto a toni ed espressioni divenute improvvisamente accettabili dopo il 7 ottobre. Quella maggioranza che, per citare Fabrizio De Andrè, «sta, come la malattia». C’è, però, un detto talmudico: anche se non serve a niente, non possiamo esimerci dal farlo.


La replica

Il problema non sta nei numeri dell’Holodomor in paragone a Gaza ma nel metodo. E del resto anche la morte di un solo bimbo per fame sarebbe troppo. Sono stati membri del governo israeliano a sostenere che bisogna affamare i gazawi facendo della carestia un’arma di guerra. Da qui l’assonanza, il punto in comune diacronico come lo definisco.

(Gigi Riva)

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