- In un articolo molto stimolante pubblicato su Domani dello scorso 8 aprile, Emanuele Felice pone una questione tutt’altro che secondaria: ridare senso alle parole “liberale” e “riformista”.
- Accogliendo la denuncia di Felice, mi permetto di proporre un’altra chiave di lettura che innesta l’assenza di autentici attori liberali e riformisti nell’incoerenza intrinseca del nostro sistema, e delle sue culture politiche, rispetto al quadro europeo.
- Mi sono sempre chiesto cosa abbiano in comune con il liberalismo, il popolarismo e la socialdemocrazia europei i partiti di centrodestra che hanno fatto appello alla rivoluzione liberale e il Partito democratico.
In un articolo molto stimolante pubblicato su Domani dello scorso 8 aprile, Emanuele Felice pone una questione tutt’altro che secondaria: ridare senso alle parole “liberale” e “riformista”. Pur nella necessaria sintesi e semplificazione imposte dallo stile giornalistico, Felice ha colto un tratto problematico degli ultimi trent’anni: la confusa e improvvisata identificazione dei partiti politici nostrani con alcune culture politiche. Un’identificazione operata alla disperata ricerca di una nuov



