Le dimissioni dell’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Jan Kubis , suonano come un campanello d’allarme. Ci sono due modi per mandare all’aria le elezioni presidenziali libiche prossime venture (24 dicembre): o boicottarle o partecipare in troppi. Pare che i leader libici abbiano scelto la seconda via.

Dalla candidatura di Seif el Islam Gheddafi si sono presentati quasi tutti, anche chi non ne avrebbe tanto diritto come il premier ad interim Dabaiba.

A lui si aggiungono il presidente del parlamento di Tobruk Aguila Saleh, il generale Khalifa Haftar, l’ex ministro dell’interno di Tripoli Fathi Bashaga (filoturco), fino all’ex ambasciatore in Italia Hafed Gaddur.

Ad ora sono quasi 100 le persone (autorevoli e non) che hanno dichiarato di volersi presentare davanti agli elettori, in attesa che l’Alta commissione elettorale libica (Hnec) sottoponga le candidature all’esame della magistratura e delle autorità amministrative per essere ritenute valide.

Malgrado tutta questa effervescenza, ai principali protagonisti della politica libica (sia quelli della rivalità Tripoli-Bengasi cioé Serraj-Haftar, che gli attuali emersi dopo l’accordo di Ginevra) pare che la data di fine dicembre sia troppo ravvicinata e le condizioni di un voto accettabile non abbastanza assicurate.

Ciò significa che, se il suffragio si terrà il 24 dicembre come stabilito, è molto probabile che sarà assai contestato o non accettato da una o più parti. In altre parole rivedremmo lo spettacolo della divisione libica.

Di conseguenza la pressione della comunità internazionale dovrebbe essere molto forte per riuscire ad imporre i risultati, posto che questi ultimi siano soddisfacenti per gli attori esterni alla Libia.

Ma tale necessaria unità non esiste: basta pensare agli interessi di Russia e Turchia nella regione, per non parlare di Egitto, paesi del Golfo e così via.

Malgrado l’unità d’intenti tra europei espressa durante l’ultimo vertice di Parigi, è oggi molto difficile immaginare che ciò sia sufficiente a traghettare il paese verso un voto riconosciuto da tutti.

La buona riuscita dell’accordo di Ginevra ottenuta dall’Onu rischia quindi di fallire a causa della fretta: è forse meglio rinegoziare la data elettorale almeno con gli attori esterni più importanti, ad iniziare da Mosca e Ankara.

A parole tutti dicono di essere favorevoli all’unità territoriale e politica libica; in pratica fino ad oggi non si è vista molta buona volontà in tal senso.

Numerosi attori credono ancora che sia meglio non rischiare e mantenere la propria influenza su una parte del territorio o su una fazione.

Gli stessi più importanti protagonisti libici, tra i quali coloro che si presentano alle presidenziali, sono ormai abituati a vivere in un limbo istituzionale: una situazione di stallo rispetto allo sforzo necessario per rifare l’effettiva unità dello Stato.

E’ logico che da parte delle Nazioni Unite non si voglia riaprire una trattativa che rischia di essere presa in ostaggio dai vari pretendenti. Ma almeno un accordo tra le più influenti potenze esterne va tentato subito, se non si vuole veder fallire tutto il processo così faticosamente rimesso in piedi dopo anni di conflitto. 

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